Con un sospiro di sollievo, condiviso da tutta Italia, il 2020 è giunto al termine.
Tutti sappiamo come la situazione sia stata gestita in Italia, tra decreti, lockdown e l’esclusione definitiva delle penne lisce tra i formati di pasta preferiti dagli italiani, ma diamo un’occhiata a come si è comportata la protagonista iniziale, la Cina, a un anno di distanza.
Iniziamo con il dire che in Cina, durante gli ultimi mesi del 2019, qualcuno ha la brillante idea di azzannare un pipistrello molto vendicativo, oppure che qualche Homer Simpson non è bravo a seguire le indicazioni. Il primo gennaio, pertanto, il mercato ittico di Wuhan chiude a causa dell’epidemia del nuovo virus. Dieci giorni più tardi circa, poi, l’OMS riceve informazioni riguardo la nuova epidemia dalla Commissione Sanitaria Nazionale, da cui si inizia a capire che, probabilmente, Tachipirina 1000 in supposte e riposo non saranno sufficienti.
La Cina condivide prontamente le sequenze genetiche del nuovo coronavirus che, inizialmente, vogliono chiamare Franco, ma poi decidono di denominare Corona, in onore del fotografo che ti becca ovunque tu sia. Questa decisione cinese è, tuttavia, molto importante per lo sviluppo di kit diagnostici specifici da parte di alcuni Paesi.
Il 23 gennaio a Wuhan inizia il lockdown e, a neanche a una settimana di distanza, viene registrato almeno un caso di Covid–19 in ognuna delle province e divisioni della Cina continentale. A distanza di due settimane scarse, la conta dei morti ammonta a oltre 700. Nello stesso momento, l’ospedale cinese fatto costruire appositamente per fronteggiare l’epidemia è pronto: un miracolo della scienza e della tecnica, costruito in soli sedici giorni mediante l’impiego di lavoro minorile, internamenti selettivi di dissidenti e spari dietro la nuca.
Pensavate che fosse solo uno dei soliti falsi allarmi di malattie che colpiscono solo chi ha gli occhi a mandorla, come l’aviaria, eh? E invece no, perché, per la prima volta, il numero di casi fuori dalla Cina supera il numero di quelli nazionali ed è ormai praticamente certo che la Tachipirina di prima non basterà.
Il 6 marzo i contagi si riducono a meno di 100 unità al giorno, un miraggio se confrontato alle due settimane precedenti in cui si registravano almeno 1000 casi giornalieri. Fa capolino la speranza che la Tachipirina, unita a una buona dose di censura dei dati, possa funzionare!
Il 13 marzo i casi delle persone ritornate in Cina superano quelli domestici, tanto da creare episodi di xenofobia e razzismo. I cittadini cinesi, dal canto loro, sembrano reagire positivamente alla gestione del virus, sebbene l’impegno dedicato alla censura delle notizie scomode sia pari a quello impiegato per combattere il virus. E no, non mi riferisco a una risposta positiva per i casi di razzismo e xenofobia.
Comunque sia, in mezzo a tutto questo casino, il premier cinese Li Keqiang (si chiama così davvero, non è una supercazzola, giuro!) dichiara che il contagio in Cina e l’epidemia sono sotto controllo e che le mezze stagioni sono un’invenzione dei capitalisti americani per vendere una collezione di vestiti in più ogni anno.
Bella Li! Sarai anche un dittatore con il super potere di far scomparire la gente, però la Cina è salva, tolgo Mulan dal podio dei miei eroi cinesi e ci metto te.
Il governo, dopo settantadue giorni di lockdown, dichiara la cessazione dello stato di emergenza e riapre Wuhan.
Tutto finito? E invece no, perché quando immetti nel mercato, come modus operandi, carne di topo macellata con le ciabatte da doccia, non è che poi puoi pretendere standard sanitari svizzeri e, infatti, il 13 aprile viene annunciato un nuovo focolaio a Suifenhe, un posto tipo Busto Arsizio ma in Cina. Questa nuova ricaduta porta molto rapidamente il numero dei morti in tutta la Cina a 4634.
Mulan! Scherzavo torna qui, scusami.
Il primo maggio la Cina vede un allentamento alle restrizioni, di cui approfittano almeno 5 milioni di persone nella sola area di Pechino, le quali decidono saggiamente di mettersi in viaggio, per poter aggiornare il curriculum con un tirocinio da untore.
Per la prima volta dopo venticinque anni, la Cina non arriva all’obiettivo di crescita del PIL, con preoccupazioni per le conseguenze su scala mondiale e parecchie esecuzioni sommarie di cittadini, tanto sono due miliardi e non se ne accorge nessuno.
A settembre, nonostante il resto del mondo sembra stia entrando nella seconda ondata, la Cina pare averla scansata con solo dieci contagiati in rapporto a una popolazione di quasi un terzo di tutta la gente sul pianeta. Una task force europea si è domandata, scoprendo l’acqua calda, se falsare i dati relativi ai contagi non sia più efficace dei vaccini.
Il primo ottobre sancisce l’inizio della settimana d’oro in Cina, la quale porta circa 600 milioni di persone a muoversi entro i confini nazionali per le vacanze, insomma, un’ondata di premi Nobel! Nonostante ciò sembrerebbe che si stia tornando alla normalità.
A un anno dalla scoperta del primo contagio, inizia una propaganda al grido di “I cinesi siamo noi!”, che sostiene l’ipotesi che il virus non sia nato in Cina, ma che sia stato importato, prendendo in considerazione anche l’Italia come paese originario, con un incazzo generale, perché l’Italia non ha nemmeno pagato i dazi doganali sull’importazione.
I media cinesi puntano l’alluce contro noi mangia-mandolini e suona-spaghetti, perché tracce di coronavirus sarebbero state trovate sul tampone fatto a un bambino milanese ammalatosi il 21 novembre e, sulla scorta di ciò, richiedono all’OMS che la Lombardia venga inserita nell’indagine sul Covid, al pari di Wuhan e dello Hubei.
A queste accuse l’Italia reagisce con uno dei mantra che gli induisti ci invidiano da millenni: lo sticazzi, visto che, anche se verrà condannata, pagherà comunque con la formula rateizzata a scadenza nell’anno duemilaecredici.
Questo è il riassuntone semi-serio di come si è comportata la Cina durante la pandemia Covid, adesso scusatemi ma devo andare a ritrovare Mulan che giustamente si è scazzata.
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