Come sappiamo, il 13 febbraio 2021 si è tenuto il giuramento del nuovo Governo, guidato da Mario Draghi. Dal giorno in cui Mattarella lo incaricò di procedere al giro di consultazioni per trovare la fiducia tra i partiti che presiedono l’arena politica, molte sono state le considerazioni circa il possibile sviluppo della politica italiana.
Si parta dal fatto che, già dai giorni della crisi di Governo, i media e gli attori politici hanno iniziato a elaborare delle considerazioni rilevanti in merito alla situazione politica del nostro Paese. Molti hanno definito questo momento come la fine (o crisi) della politica italiana, e con la sfiducia a Conte e l’entrata in scena di Mario Draghi, si è sentito parlare addirittura di “Terza Repubblica”.
C’è da dire che la politica italiana non se la passa molto bene, già da parecchi anni e indipendentemente dalla pandemia. La maggior parte dei cittadini considera le istituzioni molto lontane da loro, non si sente rappresentata appieno e partecipa raramente alla vita politica della società. Anni di promesse non mantenute, di scarsi miglioramenti economici e sociali, sommati alla moltitudine di scandali e sprechi, esacerbati dalla classe dirigente, hanno portato a un distacco sempre più forte e difficilmente arginabile. Che l’incarico di Draghi possa sistemare tutto ciò? Difficile, se non impossibile.
Futuro incerto
Il Governo attuale ha il delicato compito di rispondere a tre importanti temi che colpiscono il nostro Paese: programmare e attuare il Recovery Plan, velocizzare e portare a termine il piano vaccinale e continuare a gestire economicamente, e socialmente, la pandemia. Oltre, ovviamente, a tutto ciò che ruota intorno ai tre punti appena elencati (ristori, riforme, transazione ecologica e altro). La durata di questo esecutivo non è ben definita, e già circolano voci sul suo futuro. C’è chi proietta Draghi come successore di Mattarella o chi invece nutre delle speranze su una sua possibile rielezione a mandato concluso. Nemmeno il tempo di iniziare e subito si pensa già al finale.
La differenza che già si nota rispetto al suo predecessore Giuseppe Conte è l’appoggio politico. È vero che in questo caso si tratta di un governo tecnico e quindi, di base, non ha un partito di appartenenza, ma quasi tutti i partiti italiani hanno appoggiato l’ex direttore della Banca Centrale Europea senza problemi. Insomma, sono saliti tutti insieme sul carro dei vincitori. C’è apparentemente una coesione politica che prima nemmeno si poteva immaginare. Se con Conte la collaborazione partitica era utopica, ma necessaria, visto il momento critico del Paese, ora invece tutti si tendono la mano (dopo averla disinfettata) e fanno comunella.
Strategia politica? Senza ombra di dubbio, per alcuni. Che il fine principale degli attori politici sia quello di rimettere in piedi l’Italia è sicuro, ma le poltrone fanno comodo a tutti e, in questi casi, alcune posizioni che prima sembravano irremovibili ora sono diventante improvvisamente malleabili. M5S, PD, Lega, Forza Italia, Italia Viva: tutti insieme si sono uniti per il bene comune (si spera).
Vecchi volti
Quello che è stato definito il “Governo dei migliori”, con la speranza che davvero sia così, presenta molte facce già note all’interno delle nostre istituzioni. Per esempio, nomi come Brunetta, Gelmini o Orlando e altri che invece erano già incaricati nella squadra di Conte (come Di Maio o Speranza). Questo forse è dovuto anche ai tempi abbastanza ristretti e delicati. In questo modo, probabilmente, si è evitato di partire totalmente da zero.
Un mix di persone che facevano già parte del Governo e altre invece che avevano precedentemente avuto incarichi simili. Quindi, apparentemente, almeno dal punto di vista delle nomine, non c’è stata una forte innovazione o un cambio di passo. Anche se, ovviamente, abbiamo alcune novità all’interno dei Ministeri (Cartabia, Bianchi). Quello che ci si aspettava, e ci si aspetta tutt’ora, è che la squadra di Governo abbia le competenze necessarie per attuare tutte le decisioni migliori possibili per il nostro Paese.
Merito e sapere
Ciò di cui avrebbe bisogno il nostro Paese, soprattutto quando si tratta di incarichi di una certa importanza, è meritocrazia e competenza. La svolta politica, se così possiamo chiamarla, passa anche per questi due concetti. Troppe volte si è assistito a scelte dettate che non prendevano in considerazione i meriti e le conoscenze delle persone. Troppe volte soggetti arrivati a importanti livelli istituzionali sono poi risultati impreparati e poco competenti. È questo quello che ci si aspetta maggiormente dal nuovo Governo. A maggior ragione essendo un Governo tecnico.
Sono infatti emerse, a proposito del pensiero sopra descritto, perplessità e polemiche rispetto alla nomina di alcuni ministri o sottosegretari. Si veda per esempio il caso Borgonzoni, nominata nuovamente (lo era anche nel cosiddetto Conte 1) sottosegretaria alla cultura, nonostante in una delle sue tante gaffe abbia ammesso di non leggere un libro da tre anni e, non contenta, in aggiunta affermò: “Ora che mi dedicherò alla cultura magari andrò più al cinema e a teatro“. Non proprio una bella presentazione per una persona che, visto l’incarico, dovrebbe celebrare la cultura o, quanto meno, non sminuirla. Assistendo a queste dichiarazioni è lecito avere qualche dubbio. Però, essendosi verificate trattative tra Draghi e i leader dei partiti politici che gli hanno promesso la fiducia, alcune nomine sono abbastanza chiare e intuibili: qualcosa ha dovuto concedere.
Certo è che Mario Draghi è una figura di spessore e di alto livello. Una vita passata a ricoprire cariche altissime, sia a livello nazionale sia estero. Ha esperienza da vendere, capacità tecniche e conoscenze finanziare ed economiche invidiabili. È riconosciuto a livello mondiale e pure i mercati stessi hanno una forte stima di lui: a testimoniarlo è lo spread, sceso sotto i 100 punti (non succedeva dal 2015) dopo la semplice nomina da parte di Mattarella. Se il buongiorno si vede dal mattino, non possiamo che sperare che questo effetto Draghi continui così.
Si spera che questo esecutivo, oltre a riassettare economicamente il nostro Stato, possa dare almeno una spinta nel rinnovare e migliorare la politica di questo Paese. Un buon punto da cui partire, anche se non facile in questa epoca, è tornare al concetto vero e proprio di politica, cioè di sistema volto a prendere decisioni pubbliche. E per far ciò è necessario abbandonare l’idea di politica intesa come tifo per un partito o per un personaggio in particolare. Alla base non dev’esservi la persona, ma le idee che essa o il suo gruppo propongono. Sono necessari coinvolgimento e partecipazione, a prescindere dal momento delle votazioni. Deve crescere il senso critico e c’è bisogno di maggior onestà morale. L’interesse principale di partiti o movimenti deve essere sempre quello di prendere decisioni che portino a uno sviluppo continuo e sostenibile dell’intero Paese.
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