L’accordo tra Libia e Turchia sui confini marittimi scatena l’ira di Grecia, Cipro ed Egitto, preoccupa l’Unione Europea e pone l’Italia in una posizione diplomaticamente difficile. Il patto bilaterale siglato tra Tripoli e Ankara concede alla Turchia la possibilità di estrazione di gas e petrolio in un’area strategica per più nazioni del Mediterraneo orientale e, per giunta, il Presidente Recep Tayyip Erdogan acquisisce una posizione decisionale sui gasdotti che attraverseranno quei tratti di mare. Facile immaginare le future ripercussioni a livello diplomatico, mentre si sono già concretizzate quelle attuali. Il primo atto arriva dalla Grecia: l’ambasciatore di Tripoli ad Atene è stato espulso, in quella definita dal Ministro degli Esteri ellenico un’aperta violazione del diritto di navigazione e dei diritti sovrani di Grecia e di altri Paesi. L’Italia si è mossa tramite il titolare della Farnesina Luigi Di Maio, il quale ha affermato che per Roma:
quegli accordi non sono legittimi: due Stati come la Turchia e il Governo libico che decidono quali siano i limiti delle acque territoriali è un fatto inaccettabile.
La storia di un conflitto secolare
Tra Grecia e Turchia non corre buon sangue dalla caduta di Costantinopoli, oggi Istanbul (dal greco “stin polis” ovvero “alla città”, denominata così per essere il centro sociale principale).
I Turchi Ottomani guidati dal sultano Maometto II conquistarono la città martedì 29 maggio 1453.
In Grecia l‘impatto fu tale che tutt‘oggi come giorno sfortunato è considerato il martedì, giorno della caduta, e non il venerdì (morte di Gesù Cristo). Non solo, quella che era la casa della Cristianità in tutto il mondo, ovvero Hagia Sophia, la chiesa di Santa Sofia, fu trasformata in una moschea. Le croci vennero rimosse, i mosaici e i dipinti stuccati per poi essere sostituiti con decorazioni islamiche. La chiesa si trasformò poi in un museo, ma la popolazione turca continua a sostenere che debba essere definitivamente islamica, così come l’isola di Cipro, in parte musulmana.
Conseguenze
La dominazione ottomana fu particolarmente dura per i greci: la lingua e la letteratura ellenica vennero spesso proibite e in molte zone fu imposta l‘odiata tassa di sangue, ogni riferimento all‘Impero Bizantino venne cancellato o messo a tacere con ogni mezzo. I turchi tentarono inoltre di disperdere il popolo greco, favorendo l‘immigrazione di popoli turchi e musulmani in Tracia (dove ben presto i greci divennero una minoranza), anche Atene e l’Attica in generale subirono l‘immigrazione di parecchi albanesi musulmani. Nonostante ciò la lingua e la cultura greca sopravvissero, grazie soprattutto all‘opera del clero ortodosso, che continuò ad insegnare la cultura e le tradizioni greche in vere e proprie scuole nascoste, tramandandole di generazione in generazione.
La Grecia fu sotto schiavitù per 400 anni.
Erdogan sfida ancora la Grecia
Chiudendo la parentesi storica, ora il presidente turco Erdogan continua a minacciare la Grecia.
Il leader ha infatti annunciato che nel 1923 la Turchia “ha svenduto” le isole greche che “erano nostre”.
In quelle isole dice “ci sono ancora le nostre moschee, i nostri santuari”.
Persino durante la sua visita in Grecia lo scorso dicembre, la prima di un capo di Stato turco da 65 anni, Erdogan è tornato su uno dei suoi temi preferiti, la revisione del Trattato di Losanna, l’accordo che ha stabilito nel 1923 le frontiere della Turchia moderna.
Losanna non è un testo sacro, lotteremo per averne uno migliore
ha ribadito lo scorso mese il presidente. Il discorso è stato ripreso dalle tv, con tanto di mappe con le isole rivendicate, che in alcuni casi arrivano a 18, ben oltre i 4 ettari di Imia. Il leader si è anche dato una scadenza, il 2023, centesimo anniversario della Repubblica turca e del Trattato di Losanna. Su questo c’è consenso fra i maggiori partiti, a cominciare dal nazionalista Chp, Partito repubblicano del popolo, che anzi parla di “occupazione greca” delle isole.
L’espansione turca
Il leader continua imperterrito a difendere il passato dell’impero ottomano.
Un’altra data a cui guarda è il 2071, millesimo anniversario della battaglia di Manzicerta, quando i turchi selgiuchidi sconfissero l’imperatore bizantino e conquistarono l’Anatolia. Fu l’inizio dell’espansione turca e ad Ankara sembrano convinti che la storia si possa ripetere. L’attacco è prima di tutto diplomatico, ma potrebbe trasformarsi in un attacco anche militare.
Situazione odierna
I leader dei due Paesi – il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il premier greco Kyriakos Mitsotakis – si sono incontrati con le rispettive delegazioni il 4 dicembre a margine del summit Nato di Londra, senza trovare però un punto d’incontro sull‘intricata vicenda.
La questione è agganciata anche al nuovo legame di cooperazione tra Erdogan e Al-Serraj – Presidente del Consiglio Libico – con i tentativi della Turchia di dare maggior impulso al sostegno militare del governo di Tripoli nel suo confronto con il cosiddetto uomo forte della Cirenaica, Khalifa Haftar, sostenuto anche da Mosca e da mercenari russi.
L’Italia non ha ancora preso una posizione netta ma il nostro governo sostiene quello di Al-Serraj.
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