Il massacro del Circeo: ritratto di una generazione persa?

Nella serata del 29 settembre 1975 a San Felice Circeo, nei pressi di Roma, Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, stavano trascorrendo una normale serata con degli amici appena conosciuti. Le due ragazze erano residenti nel quartiere popolare della Montagnola; una faceva la barista e l’altra era studentessa. I tre amici appena conosciuti erano invece rampolli di famiglie agiate della Roma borghese e industriale. Studenti universitari di medicina e architettura, due dei quali con precedenti penali alle spalle legati ad episodi di rapina e di violenza sessuale.

Basandosi sulle apparenze nessuno avrebbe detto che i tre giovani erano in realtà dei criminali efferati. Si trattava infatti, a detta delle testimonianze di Donatella Colasanti, di tre ragazzi impeccabili con un linguaggio forbito, bei vestiti e modi educati. In realtà di lì a breve la serata spensierata si sarebbe trasformata in un delitto orrendo.

Dopo aver fatto delle esplicite avances, respinte al mittente dalle due ragazze, i tre diedero il via ad una spirale di violenza che dalle minacce arrivò ben presto al sequestro, allo stupro, alla tortura ed infine all’uccisione di Rosaria. Donatella riuscì invece a fuggire fingendosi morta, denunciò i suoi aguzzini che furono condannati a lunghe pene detentive. Uno dei tre, Izzo, liberato dopo più di due decenni si macchiò immediatamente dopo la propria uscita dal carcere di un altro delitto, uccidendo due donne. Un altro, invece, Andrea Ghira, riuscì a fuggire dall’Italia e non scontò mai la sua pena.

Il contesto del delitto: l’Italia negli anni ’70

Oltre ad essere stato un orrendo episodio di cronaca nera, il massacro del Circeo rappresenta anche un importante fatto sociale. Il contesto nel quale il delitto avvenne era infatti quel mondo violento, tumultuoso e contraddittorio che fu l’Italia negli anni ’70. La Seconda guerra mondiale e il fascismo si erano conclusi da trent’anni ma i suoi strascichi permanevano minacciosi nel retroterra culturale della nazione. La spinta propulsiva del boom economico dei due decenni precedenti stava andando a scemare. Le crisi economiche per il prezzo del petrolio e la parvenza di un impantanamento americano nelle foreste del Vietnam alimentavano un clima di incertezza per il futuro e di spaesamento. La conflittualità politica, economica e sindacale stava raggiungendo livelli incendiari, tanto da sfociare sempre più spesso in episodi di terrorismo.

Chi erano i carnefici e le vittime

Il delitto contiene degli elementi di tutto questo, i carnefici erano “figli di papà”; piccoli borghesi militanti neofascisti. In quegli anni, come puntualmente avviene quando i ceti subalterni alzano la testa e rivendicano condizioni di vita migliori, il neofascismo stava riprendendo piede in Italia. Negli anni precedenti vi erano stati numerosi e celebri episodi di terrorismo nero come la strage di Piazza Fontana, Piazza della Loggia e l’Italicus; oltre al tentativo di golpe Borghese. I tre erano quindi pienamente inseriti in questo contesto neofascista intriso di una presunzione di superiorità quasi antropologica verso i ceti subalterni oltre che di culto per la violenza e per la morte.

Le due ragazze erano invece delle normali giovani delle borgate romane, le “periferie centrali” di una città morfologicamente unica. Il loro essere donne, meno istruite, meno ricche, meno forti e con meno potere alle spalle le rendeva la “preda” ideale agli occhi dei loro aguzzini. Preda e contemporaneamente nemico ideologico “di classe” da sconfiggere, da estirpare. Due degli assassini, infatti, non si pentirono mai, continuarono a professare il loro disprezzo nei confronti delle loro vittime, ragazze di ambienti popolari che ai loro occhi non erano neppure pienamente umane. La brutalità e la de-umanizzazione del fascismo getta in questi casi la maschera, al Circeo come ad Auschwitz.

L’interpretazione dell’orrore: Pasolini e Calvino

Nei giorni successivi al crimine, si verificò un dibattito tra due grandi intellettuali italiani, Pier Paolo Pasolini e Italo Calvino, circa la natura e le cause sociologiche alla base del delitto. Secondo Calvino, infatti, la situazione poteva essere interpretata con le categorie marxiste classiche di borghesia e proletariato. Le due ragazze erano proletarie vittime di un episodio “acuto” della prepotenza e del dominio di classe borghese rappresentato ideologicamente dal fascismo.

Pasolini, che era come Calvino un intellettuale molto vicino all’ideologia ed al Partito Comunista, interpretava il fatto con una sfumatura diversa. Secondo l’intellettuale friulano lo sviluppo capitalistico sempre più accelerato e acefalo stava gradualmente soppiantando e distruggendo tutte le culture “particolaristiche” ad esso precedenti. L’Italia, in particolare, caratterizzata da innumerevoli fenomeni di cultura, linguistica, usi e costumi popolari stava, nella visione di Pasolini, venendo sempre più omologata al “modello di produzione umana” del capitalismo moderno. La cultura “borgatara” romana alla quale le due ragazze appartenevano stava scomparendo alla stregua di quella dei nativi americani nel selvaggio West.

Pasolini arrivò a parlare di un genocidio culturale, di cui il massacro del Circeo costituì la punta dell’iceberg.


Fonti:

it.wikipedia.org

espresso.repubblica.it

thevision.com

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