Ogni religione ha il suo corrispondente economico: Calvinismo e Liberismo

Liberismo e Capitalismo

Il liberismo è un sistema economico ideato da Adam Smith e basato sulla dottrina del laissez-fareSecondo questa teoria, lo Stato non deve mai intervenire sui rapporti di libero scambio, garantendo, attraverso le leggi, la libertà del mercato. Quest’ultimo è, infatti, autonomo e una qualsiasi interferenza potrebbe danneggiarne il funzionamento. Inoltre, il perseguimento individualistico del proprio scopo da parte dei singoli porta al profitto anche per la collettività. Spesso i concetti di liberismo e capitalismo sono sovrapposti: per esempio, si può affermare che l’attuale sistema economico occidentale sia capitalistico e liberista, anche se il liberismo deve bilanciarsi con altri diritti per i quali è richiesto un intervento regolatore dello Stato.

Quindi, il capitalismo è l’organizzazione sociale fondata sul fine del profitto; il liberismo è l’ideologia economica capitalistica strutturata sulla necessità di un’economia il più possibile libera dall’intervento statale.

Calvinismo

Il calvinismo è una confessione del cristianesimo protestante, nata dal riformatore Giovanni Calvino, secondo cui il credente non può abbandonarsi passivamente al destino, ma deve crearsi autonomamente la propria fortuna. Inoltre, non c’è modo di conoscere il giudizio divino, se non attraverso l’accumulo di ricchezza. Solo così, infatti, è possibile immaginare di ritrovarsi nelle grazie di Dio e, di conseguenza, ottenere la salvezza. In questo modo, l’uomo è spinto a lavorare sempre di più, sperando di raggiungere il paradiso e di essere ben visto agli occhi della società, la quale considera i poveri con disprezzo, reputandoli causa della loro miseria. Il ricavo di un profitto è un modo per avvicinarsi al sacro. Dunque, il calvinismo può essere considerato una concausa dello sviluppo della mentalità capitalistica.

Calvinismo ed economia: le teorie di Weber

L’idea cattolica delle opere buone viene trasformata nell’obbligo di lavorare diligentemente come segno di grazia. E proprio a questo i protestanti anelano. Lo storico e sociologo Max Weber formula la sua celebre tesi sul rapporto tra calvinismo e capitalismo nel saggio L’etica protestante e lo spirito del capitalismo. Secondo la sua teoria, il capitalismo è nato dalla dottrina calvinista. Il dinamismo dei soggetti nel perseguire la propria vocazione conduce a una maggiore dedizione nel lavoro, costituendone un segno di predestinazione alla salvezza e a una vita aliena da divertimenti, vizi e debolezze terrene. Weber propone anche un’ulteriore teoria: il concetto di disincantamento del mondo, o razionalizzazione, che consiste nel processo di secolarizzazione dell’Occidente e nella progressiva estromissione della religione da tutti gli ambiti della vita. Weber condivide con Nietzsche la sensazione di vivere in un mondo dove il sacro tende a scomparire. Però, a differenza del filosofo, che saluta la morte di Dio come una liberazione, il sociologo constata come l’uomo moderno sia costretto a vivere in un’epoca senza più divinità o profeti che se ne occupino.

La critica

Dopo più di cent’anni di analisi critica, il nesso indicato da Weber risulta debole e non del tutto convincente. Come riassume  Hartmut Lehmann, acuto conoscitore del pensiero weberiano, gli studi del sociologo furono influenzati dalla società dell’epoca. Era, infatti, totalmente diversa dal modello sociale dei nostri giorni, quindi difficilmente comparabile. Weber ha, infatti, vissuto durante un periodo molto particolare della storia del puritanesimo, caratterizzato da un’esperienza politica non particolarmente presente e da un emergente potere economico. Quest’attitudine era diretta conseguenza della delusione dovuta al fallimento dell’esperimento religioso-politico di Cromwell in Inghilterra.

Anche le differenze tra le posizioni che riguardano la vita pratica, riscontrate nelle diverse confessioni, erano meno nette di quanto assunto inizialmente da Weber. Infatti, la condizione del tipico uomo calvinista e puritano non è necessariamente riconducibile storicamente alla forte attività economica mirata al ricavo, come invece era stato presunto in precedenza. Le fonti storiche non presentano questa concezione come un dato sicuro.

Un filone di critica, già presente negli anni Trenta del XX secolo, in particolare negli studi di Amintore Fanfani, ha inteso mostrare che, già nell’Italia della rivoluzione commerciale, i valori e lo spirito capitalista erano già ampiamente diffusi. Pare, dunque, che l’emergenza del capitalismo in chiave moderna sia ricondotta non solo agli aspetti personali e all’impegno del singolo, ma anche a evoluzioni politiche, che all’interno dell’economia e del commercio, permettevano esperienze di convivenza positive altrimenti molto difficilmente riscontrabili nell’ambiente proposto da Weber all’epoca.

Fonti

hs-itb.it

giornalistaletterario.it


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