La propaganda di guerra fascista

10 giugno 1940. Un uomo si affaccia dal balcone di Piazza Venezia a Roma con le mani ben piantate sui fianchi. Ha il mento proteso in avanti, gesticola in maniera solenne e violenta. La sua testa calva svetta battuta dal sole sulla folla oceanica sottostante. La voce tonante annuncia un presagio di morte che da uomini donne e bambini di tutto il paese accolgono come una festa. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Francia e Regno Unito. La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti…vincere, e vinceremo!

E invece…

Tutto il resto è Storia: abbiamo perso. Abbiamo perso male, sfigurando su qualsiasi fronte a causa di impreparazione militare, povertà materiale, struttura di comando carente e direttive insensate di Mussolini. Il tutto per un desiderio di protagonismo e generica grandezza più che di razionalità militare. Tuttavia, nella Storia è il rumoroso tuono a precedere il lampo luminescente. La propaganda arriva prima della verità. E nei tre anni di guerra italiana (non considereremo l’esperienza ancor più tragica e grottesca della Repubblica Sociale Italiana) di propaganda se n’è fatta molta. Il regime aveva infatti l’arduo compito di far percepire al popolo italiano la catastrofe che si stava abbattendo sul paese come “una passeggiata di salute fino ad Atene” per usare le parole di Mussolini.

La propaganda però, può reggere fin quando la realtà non entra violentemente e tragicamente in gioco. Così, ad ogni bombardamento alleato sulle nostre città, ad ogni notizia di figli morti al fronte, ad ogni maggior razionamento del cibo, il consenso per Mussolini andò scemando assieme alla presa della sua propaganda.

L’ingresso in guerra

L’Italia entrò controvoglia nella Seconda Guerra Mondiale. Ciò che spinse il nostro paese a gettarsi volontariamente nel baratro fu un misto di opportunismo mal calcolato e di impegni fatali presi con troppa leggerezza. Il Patto d’Acciaio stretto con Hitler nel 1939 seguito all’isolamento internazionale dell’Italia legò il nostro paese al destino del ben più potente stato teutonico. Nonostante i temporeggiamenti iniziali, dovuti alla consapevolezza della nostra debolezza, le vittorie fulmine di Hitler trassero in inganno Mussolini. “Ho bisogno di qualche migliaio di morti da buttare sul tavolo delle trattative” disse il dittatore italiano. Saranno trecentomila, e il tavolo quello della resa incondizionata.

Ma la propaganda fascista non poteva raccontare al proprio popolo una storia tanto vergognosa. L’ingresso in guerra aveva bisogno di una narrazione che lo giustificasse. E allora ecco le sanzioni contro l’Italia imposte dalla società delle Nazioni per la sola colpa di aver invaso un paese indipendente come l’Etiopia massacrandone a milioni gli abitanti. Si tirò fuori dalla soffitta il mito D’annunziano della Vittoria Mutilata dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale secondo il quale la nostra nazione sarebbe stata snobbata dalle altre vincitrici al tavolo delle trattative. In generale la narrativa fascista per giustificare l’ingresso dell’Italia in guerra raccontava di una nazione giovane e “Proletaria” incatenata nel suo piccolo mare dalle potenze plutocratiche (Regno Unito e Francia). La Gran Bretagna in particolare controllava gli stretti di Suez e Gibilterra, oltre alla strategica Malta, al centro del Mediterraneo, davanti alle coste nazionali.

Secondo i fascisti l’Italia avrebbe dovuto rompere queste catene imposte dai propri “bulli” per lanciarsi verso le ambizioni imperiali che le spetterebbero di diritto in quanto discendente della romanità.

Combattere contro la realtà

Come detto, la guerra andò molto male, e questo fin quasi da subito. Già dai primissimi giorni la propaganda carnevalesca del fascismo iniziò a lasciar spazio alla tragedia. Torino e Genova furono bombardate già nel giugno del 1940. Durante l’estate di quell’anno vi furono piccoli successi insignificanti dal punto di vista militare. Avanzate nel deserto in Egitto e in Somalia. Il regime vendette nella sua propaganda queste inezie come degli sfolgoranti successi sui campi di battaglia, con tanto di titoloni sui giornali, documentari, film propagandistici. L’autunno portò l’amara verità. Gli inglesi passarono al contrattacco in Egitto e in Africa Orientale, l’attacco alla Grecia si risolse in un fallimento clamoroso, la marina venne decimata nella notte di Taranto. Questi disastri furono affrontati dalla stampa fascista in tre modi: da una parte si provò a fare finta di niente fin quando era possibile, omettendo le sconfitte nei bollettini di guerra e nella stampa; quando la verità non si poteva più nascondere si sminuiva la portata delle sconfitte parlando di “ritirate strategiche” dell’esercito Italiano, infine quando la sconfitta era talmente evidente da non poter fare altrimenti si parlava della disparità di mezzi contro le “soverchianti” forze nemiche e dell’eroica resistenza degli Italiani.

Una costola tedesca

Durante gli anni successivi gli italiani persero di fatto l’iniziativa autonoma sui campi di battaglia, diventando truppe di supporto per i tedeschi. Ovviamente il regime negò questa realtà spacciando i successi tedeschi per propri.

Alla fine, però, la propaganda ha iniziato a sgretolarsi sotto i colpi delle bombe, della fame e delle ingiustizie, dell’insensatezza della guerra. Gli italiani se ne accorsero, il regime cadde e nacque la resistenza.

 


Fonti:

italianiinguerra.wordpress.com

Due Anni Di Guerra, a Cura del Ministero di Guerra Popolare, Roma 1942

Credits:

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