Seicento. Tanti, in un conto arrotandato per difetto, fissati in una immagine già diventata iconica, erano i sindaci che hanno marciato, in fascia tricolore, per le strade di Milano, lo scorso 10 dicembre. Partendo dalla sede dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani, in via Rovello, il Corteo si è snodato per piazza dei Mercanti, Piazza Duomo, per poi passare attraverso la Galleria Vittorio. Ad aprire il corteo, a cui facevano ala i cittadini, uno striscione eloquente: “L’odio non ha futuro”. Ed è a Palazzo Marino, sede del Municipio, che il corteo ha incontrato il motivo per cui si era messa in marcia: la senatrice a vita Liliana Segre, cui i seicento primi cittadini intendevano fare da scorta.
All’indomani delle minacce, più di duecento al giorno, che hanno indotto il prefetto Renato Saccone ad assegnare alla Senatrice degli agenti di scorta personale, in novembre, le reazioni erano state anche veementi. Se Matteo Salvini aveva chiesto un colloquio privato stigmatizzando d’altra parte quelle che riteneva “distinzioni tra minacce di serie A e di serie B”, Luigi Di Maio aveva invece parlato, riportano gli organi di stampa, di “una sconfitta per tutte le istituzioni”.
La risposta dei sindaci
Il Presidente della Repubblica, dal canto suo, circa un mese prima della marcia, aveva parlato di solidarietà come antitesi all’odio, di convivenza e senso di responsabilità come mezzo per “contrastare” “intolleranza” e “contrapposizione“, che non sono concetti astratti ma fatti “concreti“. Lo dimostrano, dice il capo dello Stato, due episodi di quei giorni.
Se qualcuno arriva in un autobus a dire a una bambina di sette anni ‘non sederti accanto a me perché hai la pelle di colore differente’; se è necessario ‘assegnare una scorta‘ ad una signora anziana che non ha mai fatto male ad alcuno, ma che il male lo ha subito da bambina come Liliana Segre, vuol dire “che gli interrogativi relativi alle differenze tra ‘indifferenza, solidarietà, aiuto vicendevole’ da un lato e ‘intolleranza e contrapposizione‘ dall’altro non sono ‘alternative retoriche e astratte’ ma estremamente concrete“.
Ed è in qualche modo una risposta anche a queste parole la scelta dei seicento sindaci, di farsi personalmente scorta della Senatrice Segre. Un gesto che ha avuto l’impulso di due di loro: il primo cittadino di Milano Sala e quello di Pesaro Ricci. Intorno a loro si sono però stretti sindaci di molte città e tutti gli orientamenti. C’era la sindaca di Torino Appendino, quello di Bologna Merola, Pizzarotti di Parma, Gori da Bergamo e persino quello leghista di Sesto San Giovanni, Di Stefano, che poche settimane fa aveva rifiutato il conferimento della cittadinanza onoraria della sua città, medaglia d’oro della resistenza, alla senatrice. Una incongruenza a cui, in occasione della marcia, ha risposto che “sarebbe stato riduttivo per lei” e che “non sarebbe stato sufficiente a lavarsi la coscienza”, come riporta il Corriere della Sera.
Un gesto che va oltre il momento
Mentre per la prima volta una manifestazione attraversava la galleria, e i fotografi immortalavano il sindaco Sala tenere per mano, anche fisicamente, la senatrice Segre, si inviava un segno che i promotori volevano molto chiaro:
È ancora forte l’emozione – ha spiegato il giorno dopo – l’Italia attraverso i sindaci si è ritrovata unita attorno a Liliana Segre e alla sua battaglia culturale e di futuro. Liliana è diventata un simbolo, una rappresentazione autorevole della Repubblica e della Costituzione. La piazza è andata al di là delle aspettative sia per le presenze, che per il senso di comunità che ha trasmesso.
Continua Ricci
Del resto la sua battaglia contro l’odio e l’intolleranza, contro il razzismo e l’antisemitismo serve non solo all’Italia, ma al mondo. Ovunque i germi dell’intolleranza razziale o religiosa riemergono e i social sono diventati amplificatori degli odiatori seriali e strumento di propaganda delle forze neofasciste e neonaziste.
Giuseppe Sala ha voluto fin da subito, dal canto proprio, puntualizzare che il senso del gesto andava oltre l’occasione specifica, oltre la figura stessa di Segre. E voleva essere un messaggio chiaro: “fomentatori dell’odio: siamo pronti a tornare in piazza se questo clima non cambierà“. E ha sottolineato come in Italia esiste “un rischio razzismo, per questo siamo scesi in piazza”.
Le parole della Senatrice
Una piazza in cui, per volontà dei Sindaci, la sola a parlare è stata la senatrice per cui in questi giorni Ricci chiede – con l’approvazione dei Presidenti delle Camere Fico e Casellati – la candidatura al Nobel per la pace. Quelle di Segre sono state parole di gratitudine, ma soprattutto di fermezza:
Ringrazio il mio amico sindaco di Milano Giuseppe Sala e il mio amico sindaco di Pesaro Matteo Ricci, il presidente dell’Anci Antonio Decaro e tutti i seicento, forse mille sindaci che hanno voluto essere qui a rappresentare non un partito, ma un sentimento civico condiviso da amministrazioni di diverso colore politico, uniti oggi in questa alleanza trasversale. Grazie.
Voi sindaci, con la vostra carica – ha proseguito – avete una missione molto difficile e apprezzo molto che abbiate voluto lasciare per qualche ora i vostri compiti per questa stupenda occasione: il vostro impegno può essere decisivo per la memoria. Nell’Italia degli 8 mila Comuni c’è un giacimento straordinario di storia che può essere tramandata alla comunità. Una storia che resta relegata a musei, istituti, vie, pietre di inciampo. Sta alla sensibilità delle amministrazioni comunali fare in modo che questo giacimento non venga abbandonato. Fare sì che quelle fredde lastre di pietra dei trasformino in occasioni antiretoriche per rinnovare un patto tra generazioni.
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