Riders: lavoratori in attesa di tutela

Decine e decine di biciclette che sfrecciano tutto il giorno, dalla mattina alla sera inoltrata, per portare cibo, bevande e molto altro nelle case di centinaia di italiani. Un rito che si ripete tutti i dì, da anni ormai, e che dallo scoppio della pandemia, con i ristoranti e i bar che hanno attivato il servizio a domicilio, è aumentato a dismisura.

Basta una chiamata o un semplice click su app innovative e nell’arco di trenta minuti, magari anche meno, è possibile assaporare la pietanza ordinata pochi istanti prima. Comodità e golosità la fanno da padroni, come capita molto spesso. Ma dietro questi tempi velocissimi non si celano macchine da Formula 1 o robot potentissimi, ma gli ormai famosi e insostituibili riders. La maggior parte di loro sfreccia tra le strade delle città in sella alle loro biciclette. I più fortunati, invece, possono permettersi di guidare un motorino.

Solitamente il rider è qualcuno che si fa riconoscere perché guida una motocicletta oppure perché mostra elevate skills quando utilizza una bicicletta con la B maiuscola. Insomma, all’apparenza sembra una cosa cool essere associato a quel nome. In questi anni, invece, la parola rider porta subito alla mente questa categoria di persone che, sfruttate e lasciate al margine, riempiono la pancia dei nostri concittadini, guidando mezzi malandati e poco affidabili. Se si passeggia in una qualsiasi via, piccola o grande che sia, di una città italiana, è impossibile non avvistarne almeno uno in qualunque momento della giornata.

Come lavorano

I fattorini del nuovo millennio (oltre 60 mila in Italia) lavorano per le principali società di food delivery: Glovo, Just Eat, Deliveroo e non solo. Anche molti bar e ristoranti del posto, non famosi come le imprese appena citate, si affidano a questo tipo di servizio. Il loro lavoro è quasi meccanico: ricevono una notifica sul loro smartphone, si recano verso il punto di ritiro, mostrano il codice, sistemano il bottino e cercano di raggiungere il prima possibile il luogo della consegna. Finito, attendono con trepidazione una nuova missione da portare a termine.

Secondo ricerche e dossier appositi si è stimato che in media un rider guadagna circa 850 euro al mese. Una somma davvero irrisoria e alquanto denigratoria. E il guadagno non è mai fisso. Dipende dai turni che si scelgono, dagli orari, dalla clientela e da una serie di altri fattori. È chiaro che più ore lavorano, più le richieste e le consegne da portare a termine aumentano e quindi anche le loro relative provvigioni (che non sono proprio da intendersi come quelle di un venditore, per esempio, almeno economicamente). Ma si sta comunque parlando di livelli di guadagno bassi e scarsi. C’è chi, per esempio, per portarsi a casa qualche spicciolo in più ha lavorato 7 giorni su 7 per più di dieci ore al giorno macinando chilometri su chilometri. E nonostante questo, non ha ottenuto una grande fortuna.

Il problema attuale

Quello di cui oggi si discute in merito ai riders è il loro contratto di lavoro e la relativa tutela. Che tipo di contratto hanno? In quale categoria di lavoratori rientrano? E molto altro. Ebbene, non è stata ben chiara la situazione contrattuale di questi soggetti, finché non sono stati essi stessi a chiedere maggiori riconoscimenti e protezioni. Al contrario di quanto accaduto in una dozzina di Stati che, a differenza nostra, avevano già sistemato e regolato il tutto (come al solito).

Tutto è partito da un’inchiesta della Procura di Milano, la quale aveva aperto nel 2020 dei verbali contro le società sopra citate per far sì che regolassero i rapporti di lavoro tra loro e i relativi fattorini. In sostanza, questi fascicoli affermano che i riders non devono essere considerati contrattualmente come lavoratori autonomi, ma come dipendenti. Esse, inoltre, sono state denunciate anche per caporalato, il che aumenta i fatti di reato e le azioni dannose che hanno compiuto queste multinazionali a discapito dei lavoratori.

Attualmente la situazione è ancora in stallo, anche se si intravedono delle piccole prospettive più o meno positive. Si apprende, infatti, che mancherebbe ancora poco tempo prima che uno dei principali food delivery, Just Eat, metta definitivamente la parola fine alla questione. L’azienda, per ora l’unica che sta almeno provando ad attuare qualcosa, ha deciso finalmente di assumere i suoi riders con varie tipologie di contratto: part-time, full-time e a chiamata. In tal modo, il lavoro dei riders dovrebbe acquistare più dignità e rientrare nella norma. Con ferie, permessi, tutele e tutto ciò che ne deriva.

In aggiunta, le aziende devono pagare un’ammenda di oltre 730 milioni di euro per aver violato le norme di sicurezza sul lavoro.

Ad ora, non ci sono ancora certezze e fatti concreti che testimonino il cambio di rotta tanto atteso dai riders e anche da chi pretende un minimo di civiltà ed equità da queste grandi aziende. Che la situazione sia monitorata dalle istituzioni e anche dai sindacati è già qualcosa, ma ciò non autorizza il fatto che i tempi si debbano allungare più del dovuto.

Il menefreghismo delle multinazionali

È bene ricordare, da buoni cittadini, che il ragazzo che porta il panino o il sushi sotto casa quando e come si vuole, sotto la pioggia o con una bici che si regge per miracolo, molto probabilmente non riceve nemmeno un decimo del prezzo pagato per la consegna. Questo semplicemente perché, nonostante il 2021 sia iniziato già da qualche mese, lo sfruttamento di categorie di persone e di lavoratori è ancora vivo e viene praticato alla luce del sole.

È buffo sentire che tali aziende si siano sorprese delle diffide inviate dalla Procura e che, analizzando le loro carte, abbiano affermato sostanzialmente di essere in regola e di non riscontrare problematiche particolari. A quanto pare non era nei loro interessi salvaguardare e difendere coloro grazie ai quali i loro introiti sono aumentati e continuano ad aumentare a dismisura. Il solito vizio delle furbe multinazionali, le quali fanno uso della scarsa conoscenza sia della lingua e sia delle norme contrattuali dei riders stranieri per imporre loro delle condizioni restrittive e al limite della decenza.

Si attende con impazienza e determinazione una svolta effettiva in merito a questa problematica. Si spera che la vita lavorativa di queste persone, per lo più stranieri e giovani alla disperata ricerca di un salario, possa cambiare in positivo, dando dignità e serietà a quello che fanno.

Fonti:

Ilfattoquotidiano.it

Ilmessaggero.it

Huffingtonpost.it

Jobbydoo.it

Lastampa.it


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