Strada e morte: quando a uccidere è la mala gestio

Quando si parla di cattiva amministrazione, spesso si pensa a ritardi nei processi, diritti negati e congestioni burocratiche. Eppure, ci sono casi in cui la mala gestio causa perdite di vite umane. Come fu per il ponte Morandi di Genova, così è per molti altri casi in tutto il territorio nazionale che vengono, però, ignorati o trattati sommariamente.

Effetto lancia

È una sera di marzo e un’auto procede sulla statale 42, all’altezza di Treviglio, piccolo paese della bergamasca.

A bordo del veicolo si trova Stefano Iacobone, ragazzo poco più che trentenne e già affermato campione di nuoto della nazionale.

La macchina procede per la sua corsa sulla strada, ma, a un certo punto, Stefano perde il controllo e si schianta contro un guardrail. È questione di un attimo, un colpo secco e il ferro appuntito della barriera trapassa il cofano, trafiggendo il ragazzo come una spada: non c’è più niente da fare.

Una fatalità, verrebbe da pensare, ma non è così. Il guardrail non era a norma ed era già stato segnalato alle autorità competenti, affinché venisse sostituito da uno curvo, progettato per assorbire gli urti senza ferire i conducenti.

È poi emerso, da successive indagini, come non fosse stata presentata nemmeno una relazione specialistica per la progettazione dei sistemi di sicurezza di quel tratto di strada. Tradotto: la barriera è stata realizzata a caso.

Stefano non è dunque morto per via dell’incidente, ma è stato ucciso dalla cattiva amministrazione.

Inefficienza e responsabilità

L’inefficienza sembra essere la parola d’ordine per i più disparati ambiti del sistema italiano: dai tempi tecnici per avere giustizia, fino ai soprusi del più piccolo funzionario. È mai possibile essere giunti a questo livello?

La mentalità del non è mia responsabilità porta indiscutibilmente a effetti negativi su tutti i livelli, così come un senso di trascuratezza.

Quello che poi permette l’espandersi di questa prassi controproducente è l’atteggiamento generale di immobilismo, dovuto al pensiero che, siccome nessuno fa nulla, non sarò di certo io a occuparmene.

Ciò funziona sia nel piccolo (quando non si fa la raccolta differenziata per esempio) sia nel grande (quando non vengono messi a norma elementi stradali prima che qualcuno ci rimetta la vita).

Dal grande al piccolo

Viste le premesse non rassicuranti del sistema di cui ciascuno di noi fa parte ed è, seppure talvolta in maniera minima, responsabile, che ruolo può dunque avere il singolo all’interno di questo circolo vizioso, che immobilizza il futuro e rende difficile qualsiasi tipo di sviluppo?

Siamo tutti abitanti di questo Paese, ma possiamo affermare con certezza di esserne dei cittadini? Perché sono sempre tutti in prima linea quando si tratta di reclamare dei diritti, reali o presunti, ma non si ha lo stesso fervore quando si tratta di adempiere ai propri doveri, naturali conseguenze inscindibili dei diritti da cui derivano?

La gestione non ottimale delle questioni che riguardano il Paese non è altro che lo specchio dei propri abitanti: se l’incompetenza e il menefreghismo sono la prassi, ciò può stare a significare solo che la grossa fetta della società non riconosce all’impegno e alla competenza il valore che meriterebbero.

Il ruolo del singolo

In che modo può ciascuno, dunque, intervenire per avere un impatto positivo nella società, in modo che si inneschi un cambiamento? La partecipazione attiva è la base di partenza per un qualsiasi fenomeno di evoluzione.

Più le persone sono disponibili a mettersi in gioco individualmente, ma con uno scopo comune, minore è la tolleranza a malfunzionamenti e inefficienza.

Per fare un parallelismo: se in un giardino ci sono alcune erbacce rampicanti in mezzo ai fiori, è necessario strapparle prima che li soffochino. Per far sì che questo avvenga, una persona deve mettersi i guanti e rimuovere la malerba.

Chiunque può farlo ma, se ci sono più volontari disponibili a svolgere il compito, il giardino sarà sempre ben curato, poiché chi si occupa della manutenzione non sarà solo. Questo, però, è una conseguenza del fatto che qualcuno abbia agito per primo.

Nel nostro piccolo dobbiamo, dunque, essere attenti a cosa non va, ma non limitarci a denunciarlo, bensì muoverci per cambiare le cose, dalla raccolta differenziata alla scelta di una rappresentanza capace e seria.

Visto che la mala gestio è una conseguenza del menefreghismo generale, a ben guardare, Stefano lo abbiamo ucciso tutti noi.

Fonti

Bergamonews

Il giorno

Bresciatoday


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