Ritmi frenetici, pranzi saltati, ore piccole, straordinari continui sono solo alcuni dei gesti che evidenziano una ossessione dal lavoro (Workaholism). Essere stacanovisti non era un problema in passato anzi, lo stato tendeva spesso a lodare coloro che più si prestavano al lavoro. Oggi tuttavia alcune situazioni stanno sfuggendo di mano.
La nascita del fenomeno
Nei primi anni ’70 in Giappone si verifica il primo caso di una persona morta per il troppo lavoro. Diversi stati si rendono conto della gravità del problema e iniziano a essere prodotte le prime ricerche scientifiche sul tema. Non è il caso dell’Italia, dove fino agli anni ’90 inoltrati il problema verrà ampiamente ignorato.
In generale, ancora oggi la società globale tende a non considerare la questione con la giusta attenzione, anche se è bene dire che viene comunque analizzato in modo maggiore.
Il caso del Giappone
Il Giappone è una parentesi particolare per quanto riguarda questo problema sconosciuto. Se infatti per l’Italia possiamo dire che molte persone non sanno nemmeno di cosa stiamo parlando, non si può dire lo stesso per il Giappone.
Il problema è conosciuto con il nome di Karōshi ed è largamente diffuso nel paese, che presenta ritmi di lavoro elevati. Altro termine che viene collegato alla questione è karo-jisatsu, il suicidio legato alla depressione per motivi lavorativi.
I giapponesi sono visti globalmente come un popolo lavoratore: per molti di loro è impensabile utilizzare tutti i giorni di ferie previsti! La cultura del lavoro risulta quindi molto differente da altri paesi come Stati Uniti o l’Italia stessa.
Come sta cambiando la situazione
Il paese è arrivato ad un punto critico: le persone evitano persino di chiedere giorni di malattia pur di non perdere giorni lavorativi e l’orario lavorativo medio è di circa 12 ore al giorno. In questo clima di forte pressione lavorativa molte persone vanno incontro alla sindrome da Workaholism e, molti, finiscono con il perdere la vita.
Oggi però le cose potrebbero prendere un punto di svolta e cambiare. La produttività non è più la stessa, il mercato internazionale è molto più competitivo oggi rispetto a 30 anni fa e le aziende non possono più offrire le stesse garanzie ai dipendenti giovani. Giovani che spesso decidono di fuggire dalla vita stressante degli uffici per aprire proprie attività, a costo anche di guadagnare nettamente meno.
Nel 2015 una sentenza, riguardante la morte per karoshi, ha alimentato le preoccupazioni della società spingendo le aziende stesse a prendere provvedimenti.
Panasonic ad esempio permette ai dipendenti di finire prima, indossare i jeans e anche di poter lavorare da casa. Tutto ciò potrebbe ovviamente aiutare la società giapponese, se non fosse per il fatto che pochi dipendenti approfittano di questi benefits.
Il vero problema sta nel come vengono valutati i lavoratori: quantitativamente e non qualitativamente. Ad esempio le promozioni non vengono ottenute per il merito, ma molto spesso per l’anzianità lavorativa.
Secondo Internazionale.it si dovrebbe cambiare il sistema lavorativo. Come? Ad esempio attraverso assunzioni (e licenziamenti) più snelli. In questo modo i posti di lavoro sarebbero variegati e aumenterebbe la produttività.
i Sintomi
Sono tre i sintomi riconducibili alla sindrome identificata da Wayne Oates:
- senso di costrizione a lavorare
- pensare costantemente al lavoro
- lavorare troppo oltre le aspettative
Per iniziare un percorso “di guarigione” il primo passo è quello di non staccare completamente la spina. Come riportato su today.it, può sembrare strano, ma privare totalmente una persona dipendente dal lavoro da questo può portare a risultati traumatici.
A cosa può portare la dipendenza da lavoro?
Una delle conseguenze, come già detto, può essere la morte. Questo nei casi più estremi. Un altro problema grave che può verificarsi è la cosiddetta Sindrome da Burnout.
Di cosa si tratta?
E’ un esaurimento fisico ed emotivo che viene a verificarsi in seguito ad un eccessivo sforzo lavorativo, tale da assorbire tutte le nostre energie. E’ una vera e propria malattia, dovuta anche all’ossessione per il lavoro. Oltre a questo, frequenti litigi sul luogo di lavoro e scadenze ravvicinate tra i motivi.
Tra i sintomi invece ci sono un senso di inadeguatezza e non riuscire a dare il meglio, sentirsi sottovalutati e non riuscire a dormire.
Il problema sta diventando maggiore negli ultimi anni, tanto da essere analizzato anche dall’OMS – Organizzazione Mondiale per la Sanità.
Nonostante non vengano proposte ancora oggi delle risoluzioni per il problema di burnout e workaholism, l’analisi di questi è un passo importante soprattutto per quelle società dove vi è una forte cultura del lavoro e nella quale le aziende spingono al massimo i lavoratori per un maggiore rendimento.
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