Le lobby in UE: tra primati e casi di corruzione

Chi ha paura delle lobby? Nell’immaginario collettivo, alla parola “lobby” viene erroneamente attribuita una connotazione negativa e carica di sospetto. Si tende a considerare lobby quei potenti gruppi di imprese che producono armi, tabacco, petrolio, le quali agirebbero occultamente per manipolare i processi decisionali con esiti pericolosi. Invero, anche quelle associazioni e gruppi che si prodigano a tutela della salute, dell’ambiente o dei consumatori agiscono in qualità di lobby, o gruppi di pressione. Ma entriamo nel merito del suo significato e delle sue caratteristiche peculiari.

COS’È UNA LOBBY

Il termine inglese “lobby” trae le sue origini dal latino medioevale “laubia”, la loggia parlamentare riservata al pubblico. Essa descrive quei gruppi di persone che, pur non detenendo il potere politico, sono in grado di influenzare chi lo esercita per ottenere l’emanazione di provvedimenti normativi, in rappresentanza dei propri interessi e della società civile. Si tratta di un’attività legale, purché avvenga in un contesto di trasparenza e regolamentazione. Regolamentare l’attività delle lobby è necessario affinché si possano verificare e monitorare i comportamenti dei decisori politici.

LOBBISMO IN UE: WASHINGTON CEDE IL PASSO A BRUXELLES

Sebbene il lobbying negli Stati Uniti d’America vanti una tradizione lunga due secoli, giunta poi oltreoceano, oggi a Bruxelles si contano più lobbisti che a Washington. Mentre la capitale statunitense conta 11.641 gruppi di pressione, la capitale belga (considerata la capitale dell’Unione Europea) ne conta 11.801. Questo dato riguarda l’elenco degli iscritti nel Registro della Trasparenza della Commissione Europea nell’anno 2019. L’iscrizione a tale registro comporta la sottoscrizione di uno specifico codice di condotta da parte dei lobbisti. Allo stesso modo, i decisori politici devono attenersi al rispetto di una disciplina specifica per le relazioni coi rappresentati degli interessi, nello svolgimento del proprio incarico. I lobbisti incontrano commissari ed eurodeputati per incidere sul processo legislativo, processo che riguarda 508 milioni di cittadini. Le loro istanze riflettono gli interessi non solo di industrie, aziende private e studi legali, ma anche di sindacati, organizzazioni non governative e associazioni di consumatori (tra cui Legambiente e Altroconsumo).

Un caso emblematico riguarda la direttiva sul diritto d’autore nel mercato unico digitale, già nota come direttiva sul copyright (n. 2019/790). Google ha incontrato i commissari europei 36 volte nel solo anno 2018, per influenzare il processo decisionale a scapito di autori e artisti.

Le stesse pressioni sono state esercitate dalle associazioni che raccolgono i diritti d’autore. Alla fine l’azienda di Mountain View e gli altri colossi dell’high-tech non hanno avuto la meglio: dovranno chiedere le autorizzazioni, pagare autori ed editori e intervenire sulle violazioni dei diritti.

Tuttavia, il quadro normativo non è omogeneo all’interno delle istituzioni: la Commissione richiede la previa iscrizione dei lobbisti perché possano incontrare i commissari, mentre in Consiglio e in Parlamento ciò non avviene. Il Registro per la Trasparenza doveva essere un Registro comune europeo; ad aprile 2019, i negoziati tra Commissione, Parlamento e Consiglio per l’istituzione di un registro unico sono falliti.

LA CORRUZIONE IN UNIONE EUROPEA

Le lobby in Unione Europea spendono circa 1,5 miliardi (dato del 2017). Quando però i soldi arrivano direttamente nelle tasche dei decisori politici, a quel punto tutto si perde di nuovo sotto uno strato di fitta opacità.
Nel 2011 scoppiò lo scandalo di corruzione conosciuto come “cash-for-laws scandal” (talvolta declinato in “cash-for-influence” e “cash-for-amendments”). Per diversi mesi alcuni giornalisti del “The Sunday Times” si finsero lobbisti, approcciando più di 60 europarlamentari e proponendo emendamenti alla direttiva sui Sistemi di garanzia del deposito, a protezione dei depositi dei consumatori dal collasso delle banche. Quattro di loro accettarono, dietro la promessa di un compenso annuo di 100.000 euro.

Pablo Zalba Bideagain fu l’unico ad essere scagionato dalle accuse per non aver accettato il pagamento, mantenendo il suo posto in Parlamento. L’ex ministro federale austriaco dell’Interno, Ernst Strasser, si dimise e fu condannato a 4 anni di carcere. Stessa sentenza per l’ex ministro romeno per gli Affari Esteri Adrian Severin, che diversamente ha continuato a sedere all’emiciclo, dichiarandosi innocente e ricorrendo in appello. L’Ufficio Europeo Antifrode chiuse il caso di un altro ex ministro degli Esteri, lo sloveno Zoran Thaler, per insufficienza di prove; fu poi condannato dalla magistratura slovena.

QUANTO (CI) COSTA LA CORRUZIONE?

Complessivamente, la corruzione costa all’Unione Europea 904 miliardi di euro in relazione al prodotto interno lordo.

  • Debellare la malaria: 4 miliardi
  • Eliminare la fame nel mondo: 229 miliardi
  • L’istruzione primaria per tutti i bambini: 22 miliardi
  • Fornire acqua pulita a tutte le persone del globo: 129 miliardi

IL LOBBISMO IN ITALIA

E in Italia, qual è il quadro normativo di riferimento?

Tale disciplina è oggetto di iniziative legislative che, da oltre 60 anni, vengono discusse in Parlamento senza però giungere a risultati concreti. Recentemente, la Giunta per il regolamento della Camera ha approvato un provvedimento per regolamentare l’attività di rappresentanza di interessi nelle sedi della Camera dei deputati. Esisterebbe anche un registro per la trasparenza del Ministero per lo Sviluppo Economico (502 registrati al 10 gennaio 2017).

L’Associazione contro la corruzione “Transparency International Italia” chiede al Governo e al Parlamento di avere una legge in grado di definire e regolamentare le attività di “lobbying”, istituendo un registro pubblico, obbligatorio e accessibile entro dicembre 2019.

Questo è il loro Position Paper:

  1. Istituzione a livello nazionale di un registro unico pubblico dei rappresentanti di interessi. L’iscrizione al registro è condizione necessaria all’esercizio dell’attività di rappresentanza verso i decisori pubblici. Le informazioni contenute nel registro devono essere accessibili a tutti i cittadini in formato aperto e riutilizzabile.
  2. Pubblicazione da parte dei decisori pubblici dell’agenda degli incontri con i rappresentanti di interessi. Le informazioni pubblicate dovranno essere in formato aperto e riutilizzabile.
  3. Maggiore attenzione al rischio di conflitto di interessi, con particolare riferimento al fenomeno delle “porte girevoli” (revolving doors), introducendo per i decisori pubblici un periodo di attesa di almeno due anni dalla cessazione del mandato o incarico prima che possano svolgere attività di rappresentanza di interessi.
  4. Divieto di finanziamento alla politica da parte delle società di consulenza e professionisti che esercitano l’attività di rappresentanza di interessi, sia per conto proprio che per conto dei propri clienti.
  5. Introduzione di un organo indipendente che abbia li compito di gestione del registro, di controllo degli adempimenti connessi alla registrazione, e di sanzione attraverso diverse modalità (sanzione pecuniaria, naming shaming, esclusione dal registro, etc.).

FONTI

Corriere.it

Transparency.it

Treccani.it

Voxeurop.eu

Euractiv.com

Euractiv.com

Uk.reuters.com

Espresso.repubblica.it

Agi.it

Documenti.camera.it

Sisp.it

CREDITS

Copertina

1

2

3

4

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *