Sono passati quasi diciassette anni dalla nascita di Facebook, quindici da quella di Twitter, mentre sono undici le candele spente da Instagram. I tre principali social network mondiali stanno iniziando a diventare quasi vintage dal punto di vista anagrafico. Eppure sono sempre utilizzatissimi e cambiano spesso il loro modo di approcciarsi con gli utenti e le loro relative caratteristiche, senza però modificarsi completamente. In questi anni, hanno visto crescere in maniera esponenziale il loro utilizzo e si sono adattati alle esigenze del mercato e del mondo che loro stessi hanno contribuito a cambiare. Hanno facilitato la vita di molti, hanno creato opportunità e nuovi lavori senza precedenti. Sono diventanti un must per tutte le generazioni più recenti e, da qualche anno a questa parte, anche per persone meno giovani all’anagrafe. Ormai fanno parte della nostra vita e, per certi versi, ne sono anche (ahimè) i conduttori.
Cambio di utilizzo
Prendiamo Facebook come punto di riferimento per la nostra analisi. Se si pensa a come veniva usato anche solo fino a sei o sette anni fa, è evidente capire come sia cambiato il suo utilizzo da parte degli utenti nell’arco del tempo. Se prima la sua funzione principale era chattare, condividere foto o video e seguire le pagine degli artisti o riferimenti preferiti, ora bisogna dimenticare tutto ciò (o almeno una buona parte). WhatsApp ha preso in poco tempo il posto di Messenger nel ruolo di piccione viaggiatore, Instagram ha fatto sì che la condivisione di foto e video diventasse ancora più virale e automatica e gli influencer sono nati ed esplosi proprio grazie a questa new entry.
Nonostante queste perdite, la creazione di Zuckerberg rimane ancora un colosso nel campo tecnologico e dei social network. Di fatti, Facebook è allo stesso tempo proprietario di Instagram e WhatsApp e prima piattaforma social utilizzata nel mondo (2,7 miliardi di utenti). Quindi la sua potente influenza non si discute. Rimane comunque il fatto che, come anticipato, il suo utilizzo nel tempo è cambiato e da un certo punto di vista sono state anche parecchie le problematiche riscontrate in questi anni.
Cos’è successo nel frattempo
La problematica necessaria da affrontare riguarda il degrado culturale ed educativo a cui si sta assistendo sui social network. Prendiamo sempre come esempio Facebook, per l’abitudine e la facilità con cui è possibile accedere, visionare, analizzare, condividere e commentare una notizia. Si pensi a un post di una nota testata giornalistica: appare la notizia sulla bacheca dell’utente con il nome del giornale, il titolo del testo e, grazie a un click, si accede senza problemi al contenuto. Fino a qui tutto bene. Anzi, geniale! Si ha tutto a portata di mano e si è aggiornati a ogni ora, sette giorni su sette.
Ma il guaio viene dopo, perché, nelle migliaia di commenti che si trovano subito sotto la notizia, c’è una strage. È come se la logica scomparisse nella maggior parte delle persone che vogliono dire la loro. Frasi senza senso, composte con un italiano misto a dialetto e ostrogoto. Pensieri scritti in maniera errata, che farebbero venire un infarto a un qualsiasi professore di italiano che si rispetti. A tutto questo, come se non bastasse, si aggiungono insulti, minacce, parole d’odio e violenza gratuite, quando, per sbaglio, l’articolo non è di gradimento dell’utente. Per certi versi è esilarante, alle volte, osservare queste centinaia di cadute di stile che si susseguono una dopo l’altra, ma, quando passano i minuti e la situazione non migliora, prevale un misto di sconforto e incredulità.
Il caso
Per fare un esempio, si sa bene di cosa si sia discusso lo scorso maggio, quando è stata ufficializzata la notizia della liberazione e del ritorno a casa della nostra concittadina Silvia Romano, e di come, purtroppo, nemmeno questa bella notizia abbia messo d’accordo l’opinione pubblica, in parte. In quell’occasione, nel giro di pochi minuti, si sono susseguite almeno dieci notizie di diverse testate giornalistiche al riguardo e la felicità suscitata dalla liberazione si è trasformata subito in tristezza e rassegnazione: nei commenti di quegli articoli si è riversato tutto il male che può uscire dalla bocca di un uomo o di una donna.
Quelli non erano pensieri od osservazioni costruttive, bensì vere e proprie minacce, avvertimenti e incitazioni alla violenza contro la persona in questione. Quelle righe di commenti online erano diventate la sagra dell’odio a cui tutti partecipavano e aggiungevano, senza ritegno, un loro tocco personale (macabro). Ora, che la libertà di espressione e pensiero (si è sicuri si possano definire tali in questo caso?) siano diritti affermati è puro e chiaro a tutti, ma ciò non può ledere o andare contro al buon senso e al rispetto del prossimo.
Perché questo esempio? Per provare a sottolineare, come anticipato, questo nuovo passaggio di utilizzo delle piattaforme social. Non si tratta più una semplice condivisione di notizie, immagini e likes, ma si crea una vera e propria guerra di opinioni. Una guerra silenziosa che all’apparenza non disturba nessuno, guidata dai cosiddetti leoni da tastiera, che dietro a uno schermo si sentono in diritto di giudicare, criticare e insultare senza freni chi la pensa in maniera diversa. Sembra quasi una gara a chi scrive peggio; una gara nella quale vince chi riesce a essere più cattivo e insensibile. Non è una novità tutto ciò, è vero, ma questo fenomeno sta crescendo in continuazione e si porta dietro conseguenze che vanno oltre il semplice commento disumano lasciato sotto un post.
Se si semina odio, si raccoglie odio
Questa situazione è delicata per il semplice fatto che quelle persone, ovvero gli utenti che battagliano a suon di commenti sgrammaticati e vuoti di senso, sono le prime a essere colpite dal marciume della rete. I social media sono una macchina tecnologicamente perfetta. I loro algoritmi sono talmente precisi da centrare sempre l’obiettivo. In merito a questo si suggerisce la visione del film-documentario The Social Dilemma. È semplicemente incredibile e quanto mai attuale.
Gli haters, oltre a bombardare chi odiano, vengono a loro volta mitragliati virtualmente da notizie, pagine e post che seguono la loro linea e questo non fa altro che alimentare all’infinito questa macchina. In poche parole, se il linguaggio che si usa maggiormente in una piattaforma social prevede parole come morte, odio, incapace, disgraziato, maledetto e simili, di sicuro le inserzioni e le pagine consigliate non saranno quelle di teneri gattini o di un corso di cucina, ma, come minimo, quelle di qualche sito estremista o catalogo d’armi.
Gli haters diventano in un primo momento cacciatori, ma si trasformano senza volerlo in facili prede. Perché cadono (forse non tutti inconsapevolmente) nella parte oscura di Internet. Si lasciano abbindolare dalle famigerate fake news, seguono persone che non hanno nessuna preparazione in campo politico, sociale e istituzionale, credendo a tutto quello che dicono, senza avere prove o fatti a dimostrarlo. Credono nella disinformazione e bullizzano chi invece, al contrario, si istruisce e si affida a persone di merito. Non si limitano semplicemente a dire la loro, ma vogliono imporre il proprio pensiero in modo assoluto e non accettano in nessun modo un confronto o semplicemente un’idea diversa. Come accennato, se si semina odio, si raccoglie odio. È un ciclo continuo, che gira e non si ferma mai. È un fuoco che non si spegne, ma, al contrario, viene continuamente alimentato e la fiamma si propaga in continuazione.
Come provare a mettere un freno
Bannare e oscurare gli account di chi aizza ai comportamenti citati sopra è un buon inizio, ma non basta per fermare la diffusione di questo problema. I social network non sono di proprietà dello Stato, ma sono in mano a soggetti e aziende private. Perciò sarebbe necessario che le due parti trovassero un accordo su come intervenire in determinate situazioni. Converrebbe porre una sorta di limite nel linguaggio utilizzato nei commenti, per esempio. È inconcepibile che certi pensieri, lesivi della dignità di certe persone, possano essere scritti senza subire conseguenze. Bisogna imporre una sorta di linea, che, al momento del suo superamento, faccia scattare sanzioni civili e penali.
Oltre a questo, è necessario che gli utenti, come primo passo, verifichino, controllino e valutino per filo e per segno le fonti di informazione a cui fanno riferimento. Questo per non inciampare nelle cosiddette bufale e rimanere sempre vigili su ciò che accade intorno a noi, per avere un’idea aggiornata e fedele dei fatti. In aggiunta, per esempio, in alcune scuole sono stati organizzati, e son tutt’ora erogati, progetti e seminari che aiutano i giovani a districarsi nella giungla dei social, fornendo loro gli strumenti utili per una corretta e critica ricerca e per smascherare le tanto temute fake news. La strada imboccata sembrerebbe quella giusta, ma i chilometri da percorrere prima di arrivare alla meta sono ancora tanti. Non si può sottovalutare tale minaccia, ne vale parte della società.
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