Il caporalato si contrasta su più fronti

Art. 35 della Costituzione Italiana:

La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.

Lavoro nero e caporalato

Il lavoro nero non è qualcosa di distante da noi, di cui magari abbiamo solamente sentito parlare. Esso è una realtà che coinvolge un numero come 3 milioni e 700 mila lavoratori a tempo pieno, e con un giro d’affari di circa 211 miliardi di euro (dati Istat 2017). Chiaramente, il lavoro irregolare ha un impatto a molti livelli in uno stato, in primis sul settore economico e sul mercato del lavoro stesso, ma anche sulla sicurezza dei lavoratori. Se proviamo a pensarci infatti, esso rappresenta un rischio non solo per il datore di lavoro, il quale se venisse scoperto subirebbe pesanti sanzioni economiche e/o penali, ma anche per il lavoratore stesso, che non dispone di nessuna tutela né diritto, in quanto allo stato risulta invisibile.

Il fenomeno del caporalato nello specifico

In alcuni casi però è anche peggio di così: il lavoratore non solo non beneficia delle garanzie di un normale contratto di lavoro, bensì viene reclutato con la forza, pagato alla soglia della fame, ed assoggettato ad orari di lavoro disumani. Si tratta del cosiddetto fenomeno del caporalato, ed è presente soprattutto nel settore agricolo e dell’edilizia. Secondo uno studio dei sindacati Flai-CGIL risalente a giugno 2018 questa pratica illegale, prevalentemente di stampo mafioso, muove una somma pari a 5 miliardi di euro. E le categorie più esposte sono attualmente i migranti e le fasce più deboli della popolazione come chi versa in grave povertà.

Gli immigrati nel mirino…

Sono diventate tristemente note storie di migranti venuti in Italia a cercare condizioni di vita migliori, ma finiti per essere soggiogati come schiavi. Un esempio è la storia di Alagie Saho, un immigrato del Gambia che nell’agosto 2018 vide morire dodici suoi compagni braccianti durante un incidente stradale avvenuto sul furgone che li stava riportando a casa dopo una giornata nei campi. Difatti, uno degli escamotage più comuni usati per reclutare manodopera consiste nel monopolizzare il sistema di trasporto. Spesso i lavoratori abitano distanti dai campi, e ciò li costringe a pagare un’ulteriore somma ai caporali per raggiungere il luogo di lavoro. Addirittura qualche volta essi vivono ammassati in baracche ai margini delle città, poiché la loro paga è talmente misera da potersi solamente permettere il cibo necessario. I migranti sono molto spesso nell’occhio del ciclone, difatti secondo il Portale Integrazione Migranti un quarto della manodopera agricola è un immigrato.

…ma non solo

Tuttavia, è sbagliato credere che solo loro ne siano coinvolti. Emblematica fu per questo la morte di Paola Clemente, una bracciante agricola italiana che nel 2015 fu stroncata da un infarto per la fatica, durante una giornata di lavoro sotto il sole cocente di Andria. La donna era italiana e in condizioni di povertà, così come le numerose altre compagne. Tutto ciò significa che i lavoratori agricoli assoggettati al caporalato sono individui senza libertà di scelta, che accettano qualunque condizione pur di avere un minimo introito salariale. È così che i caporali si pongono come “benefattori” i quali offrono una via d’uscita dalla povertà, tenendo per sé una parte del compenso già scarno dei braccianti. In realtà, essi agiscono in modo brutale, apertamente contrario ai diritti sul lavoro e persino alla dignità umana.

Misure di contrasto e tutela dei lavoratori

Per questo motivo lo Stato si impegna a contrastare e prevenire il fenomeno del caporalato, creando normative e “commissioni” ad hoc. Finora erano presenti alcune leggi in merito, ma la loro efficacia è risultata limitata. Esse infatti si confrontavano in modo molto blando con l’argomento, inoltre si iniziò tardi a combattere il problema. Con la legge n. 136 del 2018, il Ministero del Lavoro ha istituito un apposito Tavolo sul Caporalato, al quale partecipano numerosi rappresentanti ministeriali ed associazioni come l’ANPAL e l’INPS. Tale comitato ha emanato questo febbraio il “Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato”, valido per il triennio 2020-2022.

Alcuni dati emersi dal Tavolo

Nel documento riassuntivo, emerge che “il tasso di lavoro non regolare tra gli addetti all’agricoltura è il più elevato tra tutti i settori economici, attestandosi al 24,2% del 2018 – con un’incidenza di lavoro irregolare tra i lavoratori dipendenti pari al 34,9%. […] Si ottiene una stima di lavoratori irregolari di circa 164 mila unità.” Per questo, viene istituito un piano d’azione basato su vari step: innanzitutto viene fatta un’analisi generale del settore agricolo. Dopodiché, il Tavolo individua le aree prioritarie d’intervento, ed elabora una strategia operativa. Il Piano prevede anche un sistema di monitoraggio e valutazione delle azioni intraprese, per verificarne l’efficacia e la corretta attuazione.

Inchieste e questioni emerse di recente

Grazie al lavoro del Tavolo e all’applicazione della legge n. 199 del 2016 (conosciuta come “legge anti-caporalato“) di recente sono state avviate numerose indagini. Così, sono risultate irregolarità non solo nel settore agricolo, ma anche in filiere quali il manifatturiero, l’allevamento e il tessile. E non solo al Sud: Veneto e Lombardia risultano tra le regioni più colpite, affianco a Sicilia, Calabria e Puglia. In alcune fattispecie è emerso che i lavoratori subivano riduzioni di paga contro la loro volontà, o dovevano lavorare oltre i limiti orari massimi consentiti. In questi casi il contratto di lavoro esisteva, ma era solamente una copertura. I dipendenti erano in realtà oggetto di violenza e sfruttamento, spesso ad opera del datore di lavoro stesso, e non di intermediari.

L’impegno delle aziende e oltre

Ritornando al caporalato in agricoltura, la differenza la può fare anche e soprattutto la GDO: i supermercati infatti sono tra i maggiori acquirenti di prodotti agricoli, poi venduti a noi consumatori. Se le aziende del settore si impegnano a rifornirsi di alimenti prodotti con lavoro in regola, si fa un importante passo lontano dallo sfruttamento. Il processo non è sicuramente semplice, poiché i controlli su tutta la filiera non sono sempre limpidi, ma è certamente già in atto. E organizzazioni non-profit come Oxfam Italia contribuiscono ad informare noi civili e le aziende stesse: l’obiettivo è diffondere la conoscenza e premiare chi lavora bene, agendo come una coscienza collettiva che segna il giusto percorso da prendere. Una testimonianza è proprio la campagna “Al Giusto Prezzo” 2020.

Fenomeni come il caporalato sembrano al di là della portata dei singoli; in realtà, essi testimoniano il contrario grazie all’impegno virtuoso di molteplici attori. Ovvero: non solo a livello istituzionale deve avvenire un cambiamento etico, ma noi per primi possiamo contribuirne. Basta fermarsi un attimo di più a leggere le news e, quando si va al supermercato, leggere meglio l’etichetta della frutta che stiamo acquistando.

 

Fonti:

Avvenire

Corriere della Sera

Diritti a Scaffali, Oxfam

La Repubblica

www.integrazionemigranti.gov.it

Credits:

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