Se stessi scrivendo questo articolo vtilizzando in qvesto modo la v al posto della u, escludendo un fastidioso refuso, si penserebbe subito che io sia un cronista fascista catapultato qui dagli anni ’30. Questo perché la suddetta variazione dell’utilizzo dell’italiano, teso a richiamare l’ortografia del passato romano, è evidentemente politicizzata. Si tratta di un uso della lingua che ha forzatamente una connotazione politica. Allo stesso modo se avessi iniziato l’articolo o un qualsiasi discorso con la formula “compagni e compagne”, a mo’ di saluto, si intuirebbe subito la mia collocazione politica e culturale. Questi sono solo alcuni esempi di politicizzazione della lingua e del linguaggio che si sono verificati nella nostra storia. Ma cosa significa esattamente politicizzazione?
Il concetto di politicizzazione
Secondo la Treccani, politicizzare significa: “Attribuire carattere politico, portare su un piano politico ciò che dovrebbe per sua natura esserne estraneo”. Ossia rendere oggetto di dibattito, di tenzone, di scontro ideologico ciò che dovrebbe avere una connotazione neutra.
La lingua è uno strumento di comunicazione usato da una collettività, dovrebbe appartenere a tutti e non denotare una appartenenza politica o ideologica. Va però notificato che nell’epoca della società di massa la politicizzazione si è estesa piano piano a qualsiasi ambito della vita sociale. Dall’abbigliamento, alla musica all’arte, ai colori, ai saluti. Tutte cose che i regimi totalitari cercano di modificare, appropriandosene appena prendono il potere in qualche paese.
Lingua e ideologia
Così possiamo dire di stare assistendo a una politicizzazione della lingua attraverso il tentativo, che può sembrare forzato, di inserimento di termini, regole grammaticali ed espressioni che volontariamente o meno possono indicare una appartenenza politica. In questo modo, chiunque utilizzi queste regole viene immediatamente riconosciuto come appartenente o meno alla categoria politica di riferimento.
Appare evidente come una simile etichettatura su base linguistica possa portare a problemi di polarizzazione e scontro ideologico molto accesi. Si potrebbe infatti verificare una situazione di discriminazione ed esclusione per chi utilizza o non utilizza quel determinato tipo di linguaggio politicizzato.
Il tema del linguaggio inclusivo
Per “linguaggio inclusivo” si intende generalmente l’insieme di proposte di cambiamento della lingua italiana per renderla, agli occhi dei suoi sostenitori, più rappresentativa e, appunto, inclusiva rispetto ai diversi generi sessuali. Nello specifico le proposte più celebri riguardano l’istituzione di un plurale neutro, inesistente nella lingua italiana che utilizza il maschile come plurale universale, ponendo un asterisco o il simbolo fonetico schwa (ə) al termine della parola plurale neutra.
Inclusività politicizzata?
Chi accusa queste proposte di portare a una politicizzazione della lingua sostiene che queste istanze siano portate avanti da una determinata fazione politica. In effetti, si tratta di battaglie che appartengono in larga parte alla sinistra progressista “liberal” americana, e che, nel corso del tempo sono giunte anche nel nostro paese.
Le idee di inclusività di genere e di lotta alla discriminazione sarebbero quindi esasperate fino a diventare una discriminazione inversa. E l’ingresso nella lingua scritta di queste regole, figlie di una certa ideologia, sarebbe una forzatura che potrebbe essere inquadrata nel dirigismo linguistico.
Si parla di dirigismo linguistico quando vi è un tentativo di manipolare l’evoluzione di una lingua attraverso scelte “a tavolino”. Inoltre, per effetto di una demonizzazione di chi ha un pensiero diverso tipica di certe frange del progressismo, spesso chi non adotta questi termini viene identificato come reazionario o addirittura fascista, pur non avendo alcuna simpatia per tali ideologie.
Cosa dicono i sostenitori del linguaggio inclusivo
Chi sostiene queste proposte ribatte che fare in modo che la lingua sia più rappresentativa e inclusiva non dovrebbe essere oggetto di dibattito politico. Sarebbe, infatti, semplicemente una misura di civiltà, figlia di principi, quelli appunto dell’uguaglianza e della non discriminazione, che dovrebbero essere condivisi da tutti. Inoltre, a detta di chi sostiene il linguaggio inclusivo, le lingue sono sempre mutate e si sono adattate ai diversi contesti storici e culturali e il loro attivismo non sarebbe da inquadrare nel dirigismo in quanto non vi sarebbe nessun mezzo giuridico per imporre i cambiamenti della lingua ma solo pressioni culturali per influenzarla.
Altri esempi di linguaggio politicizzato
Un altro possibile esempio contemporaneo di questo fenomeno potrebbe essere quello degli anglicismi.
Negli ultimi decenni nella lingua italiana sono entrati a gamba tesa tutta una serie di prestiti linguistici soprattutto dalla lingua inglese. Questi inizialmente riguardavano il mondo della tecnologia e altri settori di sapere in cui i paesi anglosassoni sono all’avanguardia. Ultimamente però, anche a causa dei social networks (ecco un anglicismo) il fenomeno si è espanso a qualsiasi ambito. Da “influencer” a “skippare” da “jobs act” a “bodyshaming” ormai assorbiamo senza filtro qualsiasi parola che arriva da oltre oceano. Anche in questo caso si può notare una sottile politicizzazione.
Questo tipo di linguaggio è infatti propugnato perlopiù dalle classi abbienti e rampanti, legate a doppio filo alla globalizzazione a guida americana. Oltre a essere la spia di una sottomissione ormai non più solo politica ma anche culturale del nostro paese agli USA.
Politica o storia
Un punto decisivo per dare ragione a chi sostiene l’una o l’altra tesi rispetto al linguaggio inclusivo è la sottile linea che passa tra politica e Storia.
La politica, in senso esteso, è infatti il terreno attuale e dinamico del dibattito, della divisione, di ciò che è appunto conteso e crea frazionamenti.
La Storia è invece ciò che è già passato “in giudicato”, che è stato oggetto di contesa in passato ma che nel presente è dato per assodato e accettato da (quasi) tutti. Oggi nessuno direbbe che la separazione di Stato e Chiesa sia un tema politico divisivo, ma duecento anni fa lo sarebbe stato; idem il lavoro minorile o il diritto di sciopero.
Vedremo in futuro se l’uso del cosiddetto linguaggio inclusivo sarà un fatto accettato da tutti, frutto di un cambiamento storico, o solo la velleità politica di un ristretto gruppo radicale.
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