Il mondo animale in Italia: tra affetto popolare e normative

Il rapporto uomo-animale

Il cane è considerato il migliore amico dell’uomo. Gli Egizi veneravano i gatti già tremila anni prima di Cristo. Ancora oggi, numerosi popoli escludono dalla loro dieta alcune specie animali perché considerate sacre. Questo testimonia che l’uomo ha sempre considerato importante creare rapporti sociali non solo con i propri simili, ma anche con gli animali. D’altro canto, da sempre l’uomo addomestica le creature per scopi utilitaristici, come ad esempio il trasporto, ma anche per fini di sussistenza, ovvero il nutrimento. Possiamo quindi dire che il rapporto uomo-animale si basa su una sorta di dualismo: da una parte esistono delle categorie di animali utili alla sopravvivenza dell’uomo, mentre dall’altro lato troviamo delle specie per le quali sarebbe impossibile (per la maggior parte delle persone) anche solo pensare ad un contesto di fruizione utilitaria, soprattutto nella visione occidentale. Questi ultimi sono i cosiddetti animali da compagnia.

Gli animali da compagnia in Italia

In Italia avere un animale domestico è piuttosto comune, e sono sempre più le persone che si interessano di animalismo. Secondo il 32° Rapporto Italia 2020 di Eurispes (Istituto di Studi Politici Economici e Sociali con sede a Roma), il 39,5% degli italiani ha almeno un pet (nel 2019 erano il 33,6%). L’animale più diffuso è il cane (del totale, il 48,8% è un fido), mentre il gatto è il secondo più amato (29,6%). Tra gli altri, troviamo uccellini, tartarughe, pesci, criceti, ma anche conigli, cavalli, rettili e, più raramente, animali esotici (0,8%) ed asini (0,4%). Inoltre, l’Istituto riporta una crescita della spesa media mensile dedicata agli animali da compagnia: i proprietari che dichiarano di spendere dai 50 ai 300 € al mese sono passati dal 18,1% del 2015 al 44,8%, mentre coloro che spendono cifre minori di 50 € risultano in calo.

Il loro benessere è il nostro

I dati quantitativi, se elaborati osservando la realtà circostante, ci aiutano a capire che gli animali d’affezione rivestono un ruolo molto importante per la quotidianità dell’uomo. Non è un caso che catene di negozi specializzate nel settore abbiano avuto un boom negli ultimi anni, e che la cosiddetta “pet economy” in Italia sia considerata un settore senza crisi. Si è calcolato infatti che il giro d’affari ruoti al di sopra dei 2 miliardi di euro. I padroni dei piccoletti di casa sempre più spesso sono attenti alla qualità di ciò che acquistano per i loro amici pelosi. Ma non solo: «Business Insider» riporta che il 76,8% degli italiani considera il proprio animale domestico un familiare, ed il 32,9% addirittura lo ritiene un figlio.

I pet e l’umanizzazione

In aggiunta, se osserviamo i social media, i numerosi animaletti finiti online raccolgono ondate di affetto e di ilarità. Essi portano persino alcuni utenti ad accrescere la loro passione per il mondo animale e a battersi per cause ad esso legate. Ma come mai gli animali domestici scatenano in noi tanta emotività, talvolta al punto da soppiantare l’empatia verso altri umani in favore delle specie animali? Non è infrequente infatti trovare commenti piuttosto animati di utenti che ne criticano altri per via del loro comportamento poco “animal friendly”. Si arriva perfino a casi estremi in cui individui augurano la sofferenza ad altri. La ragione è probabilmente la stessa che spinge un padrone di un cane a dialogare con esso, e quella che ci fa sorridere nel vedere un gatto assumere “espressioni” a noi bizzarre: l’uomo tende ad umanizzare gli animali, assimilandoli a sé.

I diritti degli animali d’affezione in Italia

Questa propensione naturale a cui tutti noi, bene o male, siamo soggetti, insieme alla natura facilmente addomesticabile di alcune specie animali, ha portato l’uomo a essere sempre più influenzato dalla presenza di un “compagno peloso”. Tanto che oggi le questioni etiche sono aumentate, ed hanno coinvolto l’ambito legislativo di molti paesi. Si parla quindi di diritti degli animali d’affezione.

In Italia le leggi di tutela e disciplina sono in continua evoluzione, ma le principali sono:

  • Legge n. 281 del 14 agosto 1991. Essa tutela il diritto alla vita degli animali d’affezione e la lotta al randagismo;
  • Regolamento n. 988 del 26 maggio 2003, che identifica quali sono le specie che possono essere considerate animali domestici e ne definisce modalità di movimento per carattere non commerciale;
  • Legge n. 189 del 20 luglio 2004, la quale introduce nuove tipologie di reato legate al traffico di pelli animali, ed al maltrattamento ed uccisione. Inoltre, essa vieta i combattimenti animali e l’organizzazione di spettacoli illegali;
  • Legge n. 201 del 2010, in applicazione della Convenzione Europea per la protezione degli animali da compagnia.

Animali da allevamento

Al di là di tali norme, esistono numerosi attivisti ed associazioni di aiuto animale, che operano con lo scopo di aumentarne le libertà. Spesso le persone che vi partecipano adottano e diffondono filosofie di vita che prevedono l’astensione dal consumo e fruizione di prodotti di origine animale. Essi cercano di ridurre lo sfruttamento animale in ogni sua forma, quindi anche sostentarsi attraverso carne o prodotti di origine animale (es. uova, latte, formaggi) non è accettato. Tali etiche vengono chiamate vegetarismo o, nel caso più estremo in cui non si evita solo la carne in sé, veganismo.

Discorsi di questo tipo conducono inevitabilmente a pensare ai cosiddetti animali da allevamento. Essi sono sempre più l’oggetto dell’attenzione di campagne di attivismo e sensibilizzazione, poiché le condizioni di vita dei capi di bestiame sono state per lo più ignorate dai consumatori onnivori sino a qualche anno fa. Organizzazioni come la LAV (Lega Anti Vivisezione) e CIWF (Compassion In World Farming) si mobilitano per promuovere la conoscenza ed un consumo consapevole di prodotti animali. Le aree di intervento vanno dalla lotta agli allevamenti intensivi all’ideazione di diete alimentari prive di prodotti animali ma bilanciate per l’uomo.

Il benessere animale: esistono diritti per gli animali da reddito?

Ma quali sono le normative che disciplinano l’allevamento? Si parla molto infatti di benessere animale, un concetto ormai diffuso anche a livello accademico ed incorporato a livello statale. La sezione italiana della Onlus CIWF sopracitata la definisce così sulla sua pagina web ufficiale:

Per benessere si intende generalmente “la qualità della vita di un animale come viene percepita da un singolo animale”.

Il benessere animale nel suo complesso non include solo la salute e il benessere fisico dell’animale ma anche il suo benessere psicologico e la capacità di esprimere i suoi comportamenti naturali.

Vengono inoltre indicate cinque libertà fondamentali per ottemperare al wellness. Tali definizioni rimangono ambigue se non disciplinate da specifiche normative a livello nazionale ed europeo. A tale scopo esistono in Italia regolamenti, note e raccomandazioni che disciplinano l’allevamento e definiscono le singole specificità di razza, come si può leggere sia sul sito del Ministero della Salute, che sui portali delle varie organizzazioni animaliste già citate.

Scelte sostenibili senza rinunciare alla carne

Dal punto di vista dei consumatori però risulta talvolta difficile destreggiarsi in una scelta consapevole e volta a premiare le aziende responsabili. Rimane anche per questo acceso il dibattito tra chi osteggia totalmente il consumo di prodotti derivanti da fonti animali e chi invece non riesce a rinunciarvi, ma vorrebbe certamente poter contribuire a migliorare il ciclo di vita dei capi di bestiame. Questo accade perché le norme sull’etichettatura dei prodotti non sono sempre chiare e complete. Ciò impedisce all’acquirente di comprendere origine del prodotto, tipo di allevamento e altre informazioni che potrebbero pesare sulla scelta di un tipo di carne/pesce su un altro in vendita.

Le mode etiche

Inoltre, va anche detto che i dibattiti etici sono diventati essi stessi oggetto di mode, rendendo le cose talvolta più complicate: basta pensare al boom di prodotti e negozi definiti “bio”. Essi sono disciplinati con precise norme e controllati da istituzioni, ad esempio la FederBio in Italia, ma molto spesso il cittadino comune non sa cosa sia veramente un prodotto classificato come biologico. Quali criteri deve rispettare? Chi controlla che determinate pratiche vengano svolte correttamente? Queste sono domande che la maggior parte di noi si pone al momento di fare la spesa, e su cui vorremmo una volta per tutte avere le idee chiare.

L’etichetta però non aiuta

Come primo passo, ci basta essere consapevoli che in generale gli allevamenti si distinguono in:

  • intensivo, nel quale vi è altissima densità di capi in uno spazio ridotto. Ciò comporta una condizione innaturale per l’animale, il quale soffre per mancanza di movimento e sfogo. Questo tipo di allevamento è altamente industrializzato ed impiegato su larga scala, poiché consente di economizzare i costi. Esso è altamente osteggiato dagli attivisti, con buone ragioni;
  • estensivo al coperto, in cui l’animale ha migliori libertà di movimento grazie ad una minore densità di individui;
  • all’aperto,
  • biologico, il quale è caratterizzato da pratiche agricole e di allevamento ben disciplinate, come specificato sopra. Con questo tipo di tecnica, l’animale viene allevato all’aperto e secondo le proprie esigenze di specie, senza l’utilizzo di antibiotici a scopo preventivo. L’allevamento biologico sarebbe perciò la scelta più vicina alla sostenibilità e al benessere del singolo animale che il consumatore può effettuare.

Sulle etichette troveremo obbligatoriamente il tipo di allevamento da cui proviene il prodotto solamente per le uova. Non è obbligatorio specificarlo per gli altri prodotti animali, e purtroppo in questo modo non possiamo fare molto per contribuire ad una scelta responsabile in questo senso. Esistono tuttavia informazioni obbligatorie da fornire sulle etichette di alcune carni, ad esempio sulla carne bovina vi è l’obbligo di riportare il luogo di origine, allevamento e macellazione dell’animale, ma su altre no. In sostanza, esistono numerose norme omogenee a livello europeo che però risultano estremamente complesse al consumatore medio. Districarsi nel mondo degli alimenti è più facile a dirsi che a farsi, per questo chi è impegnato sul fronte dei diritti degli animali preme per normative più stringenti e chiare a tutti.

In conclusione

Estendere i diritti degli animali, così come cercare di migliorare qualsiasi diritto che assicuri condizioni di vita migliori agli abitanti di uno stato, è un dovere etico che tocca sempre più i cittadini. Soprattutto se si tratta di alleviare la sofferenza negli allevamenti e azzerare i casi di maltrattamento. Allo stesso tempo però, è importante che l’uomo non confonda la natura animale con la propria. Antropomorfizzare gli animali da compagnia significa non comprenderne a pieno i bisogni, e rischia di portare ugualmente alla sofferenza dell’animale. Esso infatti non può e non potrà mai esprimersi secondo il nostro codice comunicativo: siamo noi a doverci sforzare di parlare il linguaggio animale. Anche questo significa rispettare un diritto molto più basilare: un diritto che scaturisce dalla natura stessa. Quindi, ben venga l’attivismo, ma anche questo va fatto coscienziosamente e senza estremismi dal lato opposto.


FONTI:

animalidacompagnia.it

Business Insider

Compassion In World Farming

Eurispes

FederBio

Lega Anti Vivisezione

Ministero della Salute

Regolamento UE N. 1169/2011

Università Niccolò Cusano

vegolosi.it

CREDITS:

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