In Italia il fascismo è un reato. Pur tutelando nella maniera più assoluta la libertà di espressione e di pensiero, i padri costituenti hanno voluto porre una importante eccezione. La ratio alla base di ciò è che la Costituzione, colonna vertebrale del nostro vivere comune, nasce dalla lotta antifascista. Essa può dunque permettere tutte le opinioni tranne quelle che ne minerebbero l’esistenza e in opposizione alle quali è nata.
Fascismo incostituzionale
La dodicesima disposizione transitoria e finale della Costituzione Italiana mette questo principio nero su bianco. La norma costituzionale recita, infatti, che risulta essere proibita la riorganizzazione del partito fascista in precedenza disciolto, e ciò in tutte le forme che questo può assumere.
A ciò si somma una ulteriore importante deroga dell’articolo 48, ovvero la necessità di imporre limitazioni, seppur temporanee e in vigore per non oltre un quinquennio, al diritto di voto e alla eleggibilità per coloro considerati a capo e responsabili della dittatura fascista.
Con queste disposizioni si era all’indomani della caduta del regime in Italia, lo stato stava attraversando un difficile momento di transizione democratica e lo spauracchio di un colpo di mano dei reduci fascisti era una minaccia reale. L’inserimento di una norma che proibisce la ricostituzione del PNF nella prima legge del paese è stata quindi una necessità di sopravvivenza per la neonata repubblica.
Partiti neofascisti
Tuttavia, essendo una norma costituzionale, si è presto sviluppato un forte dibattito attorno alla sua applicazione concreta. Passati i primi anni dalla fine della guerra in Italia, iniziarono a presentarsi i primi soggetti politici eredi della tradizione fascista. A seguito dell’Amnistia Togliatti che interruppe il lato giudiziario del processo di defascistizzazione, il tabù si allentò. Il 12 novembre 1946, alcuni reduci della Repubblica Sociale Italiana capitanati da Giorgio Almirante fondarono il Movimento Italiano di Unità Sociale, un partito di fatto neofascista. Poco tempo dopo il suddetto movimento si fuse con altri gruppi neofascisti per fondare il Movimento Sociale Italiano. Alle elezioni cittadine di Roma del 1948 il MSI riuscì subito ad eleggere 3 consiglieri comunali. Il risultato politico chiarì che si trattava di una minaccia politica seria, ma anche di un partito ormai istituzionalizzato con cui andavano fatti i conti.
La legge Scelba
Nel 1952 il Parlamento Italiano promulgò la legge Scelba. A seguito di forti tensioni eversive che minavano la stabilità della neonata democrazia Italiana si decise di dare un quadro normativo più dettagliato alla XII norma transitoria della Costituzione. Tale legge specificò le fattispecie concrete di applicazione del reato di apologia di fascismo, che coinvolgono in particolare:
- Un’associazione, un movimento o un gruppo di persone pari almeno a cinque di numero.
- L’esaltazione e l’uso della violenza, con finalità apertamente antidemocratiche e caratterizzanti il partito fascista, come strumento di lotta politica.
- La promozione della soppressione della Costituzione e delle libertà da essa garantite denigrazione della democrazia con i suoi valori, compresi quelli della Resistenza.
L’apologia di fascismo si configurerebbe quindi nel caso in cui un’entità politica abbia dichiaratamente finalità e metodi antidemocratici nella sostanza. Il Movimento Sociale Italiano, pur avendo un filo diretto con il Partito Nazionale Fascista non ebbe mai dichiarate aspirazioni antidemocratiche. Il motto emerso da uno dei primi congressi riguardo al rapporto col fascismo fu: “Non rinnegare, non restaurare”. É però del tutto evidente che accettare il MSI sulla base dell’esistenza di questo presunto “neo-fascismo democratico” rappresentava una contraddizione frutto di un compromesso politico per cercare di istituzionalizzare e “addomesticare” i reduci del regime, i quali rappresentavano comunque una parte importante (e pericolosa) del paese.
L’apologia di fascismo oggi
Negli anni successivi alla promulgazione della Legge Scelba, la Corte Costituzionale ne ridusse notevolmente gli ambiti di applicazione con una serie di sentenze che ridefinirono i confini del reato di apologia di fascismo. In particolare, i giudici della Consulta chiarirono che per decretare il reato apologetico non è sufficiente una difesa elogiativa del fascismo, ma è necessaria una esaltazione tale da condurre alla ricostituzione del partito. Nei decenni successivi, fino ad arrivare ad oggi, il fascismo ha sempre di più assunto le caratteristiche di un non-tabù. La legge tutela le istituzioni ma nella cultura popolare proliferano gadget, libri e dichiarazioni che magnificano l’ideologia fascista.
Nel 2017 il deputato del PD Emanuele Fiano propose una legge per limitare la diffusione dell’ideologia fascista proibendo anche la produzione e la vendita di immagini e accessori di propaganda fascista. La proposta, tuttavia, non ebbe seguito ed il dibattito sull’apologia di fascismo è ancora aperto. Da una parte vi è chi sostiene un’applicazione più stringente della norma costituzionale, dall’altra chi pone l’accento sulla necessità di non porre limiti alla libertà di pensiero finché questa non minaccia direttamente la democrazia.
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