La piaga del caporalato

Il fenomeno del caporalato è sotto gli occhi di tutti ed è un problema ben presente nel nostro Paese. Nonostante ciò, istituzioni e cittadini sembrano essere immobili innanzi a questa questione. E, peggio ancora, tale problema appare quasi come naturale, e viene “accettato” senza particolari proteste da parte di una buona fetta dell’opinione pubblica.

“Gli invisibili”, come vengono chiamati i lavoratori dei campi direttamente dal loro leader e forte portavoce Aboubakar Soumahoro sono coloro che per esempio vengono sfruttati nel lavorare per ore nei campi di pomodori e altri ortaggi fino allo sfinimento. È faticoso usare la parola “lavoro” in questa situazione, viste le disumane condizioni lavorative e di vita in cui riversano queste persone.

Per caporalato intendiamo un sistema illegale di ricerca, assunzione e sfruttamento della manodopera che avviene da parte di intermediari, detti caporali, che reclutano forza lavoro per determinate mansioni. In Italia il settore più toccato da questo fenomeno è quello agricolo. Negli anni è stato coniato anche il termine “agro-mafia” per indicare la vicinanza e i collegamenti tra la realtà mafiosa e lo sfruttamento lavorativo del caporalato.

Routine disumana

Sveglia all’alba, dodici o più ore di lavoro in qualsiasi condizione metereologica, una paga misera, irrisoria. Diritti, permessi e aiuti negati, contributi assenti. Violenze, maltrattamenti e in alcuni casi la morte.

Come se non bastasse, infatti, questi individui rischiano la vita ogni giorno stando sotto la stecca del sole sette giorni su sette, dalla mattina alla sera, senza protezioni o aiuti per ripararsi dal caldo soffocante e appunto mortale. A fine giugno, per esempio, si è diffusa la notizia di un bracciante di 27 anni morto in Puglia a causa di un malore dovuto allo sforzo estremo nei campi di lavoro sotto il sole cuocente. Molti altri casi simili sono stati riscontrati in questi anni.

Oltre a non avere sicurezze sul posto di lavoro non hanno sicurezze nemmeno al rientro a casa. E anche qui non so come sia possibile definire casa il luogo in cui queste persone mangiano, dormono e sognano una vita migliore. Perché non sono altro che baraccopoli, container se si è fortunati. Altrimenti si devono accontentare di tende o lamiere messe una sopra l’altra a mo’ di capanna. E in queste condizioni igieniche e sanitare disumane è facile pensare come malattie (il covid ne è stato un esempio) e incidenti (spesso mortali) siano all’ordine del giorno e possano mettere in serio pericolo la vita di questa gente.

Ed è in queste circostanze che lo stereotipo “vengono a rubarci il lavoro” è ripugnante e deplorevole. Perché queste mansioni, che quasi nessun italiano è più disposto a fare, vengono eseguite da uomini e donne immigrati, senza lavoro o dimora, che pur di sopravvivere sono disposti a sacrificarsi pagando a volte con la loro vita. Per tale motivo, essendo molto spesso purtroppo anche privi di documenti diventano ancora più vulnerabili e impotenti.

Dati

I numeri che emergono da una ricerca sottolineano la complessità e il degrado del fenomeno. Circa 400 mila individui sono coinvolti in questo problema e più dell’80% di questi sono stranieri. Oltre che per i lavoratori stessi, il caporalato è una piaga non da poco conto anche per l’economia dell’Italia. Si stima infatti che vengano sottratte alle casse dello Stato una somma vicina ai 600 milioni di euro ogni anno. inoltre, lo stipendio di un lavoratore si aggira intorno ai 20-25 euro giornalieri, di fronte ad un monte ore che va dalle 10 alle 14 ore quotidiane. Una miseria insomma.

E non è finita qui. Capita spesso, infatti, che i lavoratori siano obbligati a pagare di tasca loro il trasportatore (il quale fa parte a sua volta di questo sistema illegale) ogni volta che vengono portati dalle loro case ai campi e viceversa. Tale piaga è presente in tutta Italia, ma ci sono zone in cui il fenomeno è ben più presente e visibile. Per esempio, nel foggiano, nel Lazio o in Calabria.

Protesta pacifica

L’indifferenza delle istituzioni, le condizioni indecenti di lavoro, il continuo sfruttamento dei braccianti e altri fattori hanno fatto sì che il 18 maggio il sindacalista Aboubakar sia riuscito a portare a Roma, sotto palazzo Montecitorio, un foltissimo gruppo di braccianti per chiedere più garanzie e sicurezze a favore degli “invisibili”. Lavoratori, ma ancor prima essere umani, che hanno marciato per le vie di Roma portando lo slogan «Legalità, diritti, salute e libertà per tutti».

I manifestanti avevano con loro ortaggi e frutta che, senza il loro apporto, non arriverebbero sugli scaffali dei supermercati frequentati da milioni di consumatori. La protesta aveva ovviamente l’obiettivo di difendere i diritti di questi lavoratori sfruttati e di chiedere un incontro con le massime cariche istituzionali affinché anche tali individui avessero il diritto ad essere vaccinati e ad ottenere il rilascio dei permessi di soggiorno.

Nello stesso periodo tali lavoratori hanno scioperato contro il Decreto Rilancio, perché secondo loro la legge presenterebbe ancora dei limiti e la vita e il lavoro dei braccianti non sarebbe adeguatamente rispettato e tutelato.

Riflessioni

Osservando i fatti intorno al fenomeno del caporalato possiamo affermare che nel 2021 lo schiavismo è ancora presente nelle nostre società. E non è poi così diverso da quello medievale o addirittura dell’antica Roma. Uomini e donne che vengono sostanzialmente venduti al miglior offerente in cambio di una retribuzione quasi vicina allo zero e sfruttati fino all’ultima goccia di sudore. Non possono esercitare nessun diritto e sono obbligati a combattere ogni giorno contro forme di violenza fisica e psicologica.

È così difficile intervenire, regolarizzare in maniera chiara e semplice questa situazione e porre un freno ad un sistema medievale e mafioso? No, non lo sarebbe se rientrasse effettivamente tra gli interessi delle varie fazioni politiche. Ad oggi purtroppo, nonostante qualche tentativo, gli invisibili rimangono ancora tali e non hanno altra scelta se non quella di alzarsi ogni mattina, recuperare le forze rimaste e prepararsi ad un’ennesima giornata di lavoro straziante e degradante. Abbiamo ancora tanto da imparare in merito all’applicazione dei diritti umani sul nostro territorio tanto che dovremmo camminare a testa in giù dalla vergogna.

 

Fonti:

focsiv.it

fieragricola.it


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