In russo la parola “pace “ (мир) ha lo stesso significato di “Terra” o “Mondo”. I due lemmi hanno la stessa radice protoslava che indicava gli aggettivi “placido, tranquillo”. Evidentemente per quei popoli antichi delle steppe euro-asiatiche il mondo doveva apparire così: un luogo sereno sferzato solo da raffiche di vento che lambivano le sconfinate pianure dinanzi a loro. Oggi in Russia l’esposizione pubblica di queste parole è di fatto illegale. La polizia in tenuta antisommossa arresta e pesta manifestanti di proteste pacifiche come le steppe ancestrali per la sola colpa di esporre cartelli con la parola “мир” scritta in pennarello e lo sguardo fermo di chi ha ragione dinanzi alla barbarie.
Si sente spesso dire nei telegiornali che ad aver scatenato questa carneficina omicida sia stata “la Russia”.
Ma è davvero così? Veramente l’intera nazione di Dostojevskij e Tolstoj si è macchiata in un colpo solo di questo peccato così orrendo?
Colpe e proteste
Le colpe dei governi non possono ricadere sui popoli. O meglio, non possono farlo completamente. Ogni leadership, persino quella più dispotica e repressiva, per esistere deve reggersi su una qualche forma di consenso diffuso, anche minoritario ma ampio. Lo stesso vale per la Russia di Putin. Per quanto possano essere farlocche le elezioni per il Cremlino, è innegabile che il novello Zar goda di una certa popolarità tra le masse moscovite. Putin ha guidato il paese durante una rinascita dalle macerie lasciate da Boris Eltsin a seguito del crollo dell’Urss, molti russi glielo riconoscono. La sua propaganda nazionalista se accompagnata a fatti concreti attira sempre un target politico cospicuo.
Tuttavia, un leader, seppur con un consenso reale difficilmente misurabile, non può mai rappresentare a pieno la volontà della nazione, specialmente in una situazione del genere.
La repressione contro il dissenso in Russia, già presente e pervasiva negli scorsi anni, si è ulteriormente inasprita con lo scoppio del conflitto. Nei giorni immediatamente successivi all’inizio dell’invasione, infatti, migliaia di russi hanno iniziato a scendere nelle piazze delle città per manifestare il proprio dissenso.
Pochi ma buoni?
Ha destato molto clamore il caso di Elena Osipova, ottantenne sopravvissuta all’assedio di Leningrado da parte dei nazisti, che è scesa in piazza a manifestare con dei cartelli contro la guerra. L’anziana signora è stata bruscamente arrestata dalla polizia assieme ad altri manifestanti. La parola “guerra” in Russia è diventata pressoché illegale, non si può dire.
Il governo per parlare dell’invasione ucraina utilizza l’espressione “operazione militare speciale”. Chiunque parli di “guerra” viene punito per “raccontare falsità sull’esercito”. Addirittura gira il video di una ragazza arrestata per aver esposto un cartello completamente bianco in totale silenzio. Questi episodi grotteschi che paiono tratti dalla peggiore narrativa distopica orwelliana, oltre a segnare il passaggio della Russia da autocrazia a totalitarismo, danno la dimostrazione di un popolo che non è tutto appiattito sulla cinica crudeltà del proprio leader.
Certo, non possiamo pensare, peccando di ottimismo, che queste proteste rappresentino la totalità della popolazione e nemmeno una grossa maggioranza. L’adunata oceanica allo stadio di Mosca in cui Putin ha tenuto un discorso che rimandava nell’estetica ai più terrificanti momenti del nazifascismo, è lì per ricordarcelo. Tuttavia quando si parla dello spirito di un popolo i numeri contano relativamente; è importante innanzitutto che ci sia una resistenza interna, indipendentemente dalla sua consistenza numerica. Serve per redimere moralmente il popolo russo e come scintilla rivoluzionaria.
Una storia di proteste
La storia è piena di casi in cui da un piccolo nucleo di resistenza nascosto è scaturita, a seguito di certi eventi traumatici, una grande rivoluzione. Anche prendendo in considerazione la storia Russa, le rivoluzioni del 1905 e del 1917 testimoniano di come gruppi di opposizione inizialmente destinati alla gogna ed al massacro abbiano saputo sfruttare condizioni favorevoli per incendiare i sentimenti popolari e ribaltare il potere costituito. Insomma, i russi si sono già liberati in passato di Zar e dittature, e, come nel 1917, una guerra prolungata più di quanto programmato e il peggiorare delle condizioni economiche possono essere degli inneschi rivoluzionari.
É invece importante per l’opinione pubblica occidentale non scaricare l’indignazione per le azioni dei vertici politici e militari Russi sul popolo. Il rischio sarebbe quello di trasformare uno scontro valoriale in un conflitto tra popoli che potrebbe generare cicatrici insanabili per secoli nel continente Europeo.
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