L’Italia: tra propaganda politica e diritti umani

Oggigiorno, in Italia, il dibattito politico si basa essenzialmente su un tema che viene presentato ai cittadini come l’unica causa del malessere e del malcontento del popolo italiano, e questo sembra funzionare. Questo tema è quello della situazione migratoria, ovviamente quella clandestina, che da anni vede l’Italia, e anche gli altri paesi europei del Mediterraneo, come terre di primo approdo. Questo fenomeno ha portato spesso l’Italia a non essere conforme alle norme del diritto internazionale.

Il percorso via mare dalle coste libiche fino alle nostre è solo la conclusione di un viaggio che dura anni. Questo viaggio inizia dai paesi dell’Africa e si protrae per mesi di peregrinaggio, anche attraverso territori pericolosi e inospitali per l’uomo. La meta di chi parte dai paesi dell’Africa subsahariana (centrale e occidentale) o dal Corno d’Africa è il nord del continente, dove trascorreranno altri mesi di vera e propria prigionia, talvolta anche di lavoro forzato, abusi fisici e sessuali, prima di essere fatti imbarcare per raggiungere i territori europei.

La verità è che nel nostro Paese si ha una conoscenza superficiale, molte volte assente, di ciò che vivono questi esseri umani, poiché di esseri umani si tratta (anche se a volte si tende a dimenticarlo). Non solo nei loro paesi d’origine, ma anche in Libia.

La Libia e i diritti umani

Oggi si parla di Libia come porto sicuro per giustificare i respingimenti e si descrivono le autorità libiche come capaci di far fronte a questa crisi migratoria con dei mezzi che possano salvaguardare i diritti inalienabili dell’uomo. È giusto analizzare brevemente la situazione libica attuale e gli accordi bilaterali che disciplinano i rapporti in tema d’immigrazione, fra Italia e Libia, per potersi rendere conto che, tutto sommato, quest’ultima non è esattamente un porto sicuro.

Nel corso del 2019, fra il generale Ḥaftar (e il suo Esercito nazionale libico) e il presidente del Consiglio generale della Libia, al-Sarrāj, internazionalmente riconosciuto, è nato un ulteriore conflitto armato, che al principio fu descritto come una “guerra lampo”, ma sembra che sia impossibile a oggi scendere a patti per una tregua. Ciò che a noi interessa sono, però, le ripercussioni che tale instabilità politica esercita sulla condizione, già precaria, dei migranti raccolti presso i centri di detenzione lungo le coste libiche. Il 3 luglio del 2019 un campo profughi è stato bombardato. Sono morte circa quarantaquattro persone e altre centotrenta sono rimaste gravemente ferite. Questo drammatico episodio dovrebbe già impedire all’opinione pubblica di considerare la Libia un porto sicuro, ma è importante aggiungere un altro dato: il paese non ha sottoscritto la Convenzione di Ginevra, che disciplina i diritti relativi allo status di rifugiato politico. La Libia, quindi, non è tenuta a rispettare alcun diritto inalienabile degli esseri umani che “ospita” nel suo territorio, e nonostante si tenti di ribadirlo frequentemente, nessuno sembra capirne la gravità.

L’Italia, infatti, il 2 novembre di quest’anno, ha prorogato in maniera automatica, per altri 3 anni, il Memorandum d’Intesa Italia-Libia sui migranti, stipulato dal Governo italiano con quello di Tripoli il 2 febbraio 2017. Questo nonostante le numerose denunce di violazioni dei diritti umani documentati dall’ONU nel corso del 2018. Violazioni consumatesi nei centri di detenzione libici finanziati dal Governo italiano stesso. Le Nazioni Unite parlano di compravendite di esseri umani, torture, violenze sessuali, stupri e abusi di ogni tipo, commessi dai funzionari pubblici, dai miliziani e dai trafficanti. Sono state introdotte, però, dal Governo italiano e in particolare dal  ministro degli Esteri Luigi di Maio alcune modifiche al fine di rendere tali violazioni dei diritti umani maggiormente punibili.

Oltre le coste libiche

Non tutti sanno che ai migranti spetta un pericoloso viaggio attraverso il Mediterraneo, nelle cui acque, da troppi anni ormai, si consuma una guerra senza nome che causa centinaia di vittime ogni anno. A impedire che ciò accada ci sono le tanto discusse e criticate ONG, i “taxi del mare”, così chiamate dal loro odiatore numero uno, Matteo Salvini. C’è chi definisce queste organizzazioni come complici degli scafisti e di coloro che commettono il crimine del traffico di esseri umani.

Tant’è che, durante i quattordici mesi come ministro degli Interni, Matteo Salvini è riuscito a far approvare da Camera e Senato il Decreto sicurezza, che presenta alcuni provvedimenti in materia di immigrazione. E come se non bastasse, a inizio giugno 2019 il Governo ha approvato anche un secondo testo, denominato Decreto sicurezza bis, nel quale Salvini ha voluto inserire altri provvedimenti, come l’aumento delle multe per quelle Organizzazioni non governative colpevoli di violare i divieti di ingresso nelle acque territoriali nostrane.

L’Italia non conforme al diritto internazionale

È quasi impossibile ricordare tutti gli episodi in cui Matteo Salvini, appropriandosi anche dei poteri di altri Ministeri, fece guerra a più ONG che dovettero passare giorni, o addirittura settimane, in balia delle onde. Egli non autorizzava lo sbarco nei porti italiani, incitando le imbarcazioni ad andare verso altre nazioni europee o, addirittura, verso i famosissimi porti sicuri del Nord Africa.

Il diritto internazionale, che disciplina le modalità di salvataggio in mare, impone alle imbarcazioni con esseri umani a bordo di raggiungere un porto sicuro che garantisca ai migranti una serie di diritti che nei loro paesi di origine non avrebbero. Per questo motivo è stato chiesto più volte a Salvini di farsi carico delle proprie responsabilità di fronte alla legge, ma l’ex-ministro si è sempre avvalso dell’immunità conferitagli dalla sua carica, per non sottoporsi al giudizio della Magistratura.

Il caso Sea-Watch

L’episodio che ha spaccato in due l’opinione pubblica Italiana è stato quello di Carola Rackete, capitano della ONG tedesca Sea-Watch. Nel giugno 2019, dopo diciannove giorni in mare, la Rackete è stata arrestata per l’attracco della nave di salvataggio senza autorizzazione nel porto di Lampedusa, “speronando” un’imbarcazione della Marina Militare Italiana. Carola Rackete, ovviamente, è stata assolta dopo pochi giorni poiché ha agito conformemente a ciò che il diritto internazionale prevede in tali situazioni.

Purtroppo la sua nave, così come altre, sono ancora bloccate nei porti, incapaci di operare e salvare vite nel Mediterraneo, ed è ciò che la Rackete ha ribadito durante l’intervista a Che Tempo Che Fa, condotto da Fabio Fazio, il 25 novembre 2019, dove ha aggiunto:

Viene da chiedersi dove sia finita la nostra umanità se non possiamo neppure attenerci alle leggi che sono state raggiunte a livello internazionale.

Queste parole dovrebbero far riflettere su quale sia effettivamente il clima dell’Italia oggigiorno, che vuole l’Italia non conforme al diritto internazionale. Un clima di odio preoccupante, fomentato giorno dopo giorno da una propaganda populista che specula sulla sofferenza, la frustrazione, e, perché no, l’ignoranza della gente.


FONTI:

Ilpost.it

Panorama.it

Che tempo che fa – RaiPlay

CREDITS:

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