Se l’è cercata. Una frase che le vittime di violenza o i congiunti di una vittima di femminicidio temono sempre di sentirsi ripetere. Un timore giustificato. E a dirlo non sono i toni allarmistici delle attiviste, ma le statistiche dell’Istat. In occasione della Giornata contro la violenza sulle donne l’istituto di statistica ha messo nero su bianco un dato drammatico quanto spietato: lo pensa una persona su quattro. Una percentuale di persone che, nonostante tutte le manifestazioni, le mostre che hanno esposto davanti agli occhi di tutti la varietà e la quotidianità degli abiti delle vittime di violenza, crede ancora che una violenza dipenda dal modo di vestire. Una certezza a cui, commentando il rapporto, la scrittrice Michela Murgia ha risposto con un laconico: “Le minigonne non stuprano, gli uomini sì”.
Ma non basta. Quasi uno su due (circa il 40%) degli intervistati si dicono certi che una donna possa sottrarsi a una violenza, se (sottolineano) davvero non la desidera. E ancora, sono più di uno su sei a essere convinti che una donna che non sia nel pieno possesso delle sue facoltà sia di fatto corresponsabile di una violenza subita perché, dice quasi uno su dieci, “le donne serie non vengo violentate”.
Ci si può stupire, in questo contesto, che una persona su dieci ritenga false le denunce che le donne trovano la forza di fare, inevitabilmente in una cifra di molto inferiore al reale eppure circa trenta al giorno?
Questo è il clima nel quale nel 2018 si è registrato il numero più alto mai censito in Italia di donne uccise: 142, di cui 119 in famiglia, senza distinzione di condizione ed età, oltre che d’abito. 13 tra le uccise erano figlie dell’assassino, 48 avevano più di 65 anni. E la regione che ne detiene il triste primato, 20, è la Lombardia.
Centoventi donne che avrebbero potuto dire, con le parole di Serena Dandini “avevamo il mostro in casa e non ce ne siamo accorte”. O invece, più spesso, se ne sono accorte eccome, ma legge non le ha aiutate. I centri antiviolenza chiudono, manca un piano nazionale contro la violenza. Così è morta anche Adriana, che aveva denunciato decine di aggressioni e aveva quindi attivato il cosiddetto “codice rosso”, il più recente strumento di difesa che la legge ha messo a disposizione.
Davanti a numeri così drammatici, si impongono due domande. Che cosa fare, se anche la legge non basta? E soprattutto, perché? E la risposta è, sostanzialmente la stessa: cultura.
Occorre essere consapevoli di quale è il clima in un paese in cui il capo della Polizia, di fronte a una dottoressa uccisa dal marito, ha dichiarato che “non possiamo imprigionare tutti gli stalker”. Lo stesso, sulle colonne di Huffington Post, ha precisato in seguito il senso della sua dichiarazione:
‘Questi comportamenti hanno una gamma di modalità che può portare anche a situazioni tragiche ma non è che possiamo incarcerare tutti gli stalker’. Infine ho esortato alla prevenzione ‘soprattutto di natura culturale’ perché ‘fino a questo molti maschi considerano le donne come oggetto, come proprietà, questo inevitabilmente dà luogo a queste situazioni’.
Conclusioni simili a quelle a cui dà spazio il rapporto Istat. Se infatti più di una persona su due, che il 63,7%, trova ancora un margine di “comprensione”, sostiene che causa della violenza siano le esperienze violente vissute in famiglia nel corso dell’infanzia, il 62,6% ritiene che alcuni uomini siano violenti perché non sopportano l’emancipazione femminile.
E allora, se il fascismo si definisce in funzione dei due cardini fondamentali della creazione di un nemico e della retorica dell’uomo forte e virile, attento al suo “possesso”, dove altro scovare le radici profonde di questa mancata sopportazione? È ancora Murgia a tracciare parentele coi frutti nati oggi dagli stessi due pilastri:
Tutto il sovranismo si fonda sulla difesa di presunti marcatori che, invece di segnare le uguaglianze, evidenziano le diversità. Così siamo tutti uguali, ma qualcuno è più uguale degli altri. Chi fa politiche del genere, sta favorendo le discriminazioni. A cominciare da quelle verso le donne.
Questi numeri tratteggiano il ritratto di una società maschilista, dove il celebre adagio mussoliniano “in Italia sono tutti maschi” non appare poi così lontano. Ed è su questo che la cultura è chiamata ad agire, consapevole che è molto difficile che un maschilista, come un fascista, riconosca il proprio errore. Perché, chiude ancora Murgia “chi detiene un privilegio, qualsiasi esso sia, non vuole mai essere messo in discussione”.
Fonti:
Dati Istat
Credits: