Pandemia e digitalizzazione

Con l’esplodere di questa pandemia, ormai da un anno sulle nostre spalle, molti settori industriali hanno subito notevoli ripercussioni negative sulle loro economie. Non è il caso, però, del settore digitale, che in questi ultimi mesi ha visto le sue attività crescere in modo significativo.

A causa del distanziamento sociale, fondamentale per contenere la diffusione del virus, quasi la totalità delle interazioni sociali e produttive sono state trasferite su piattaforme virtuali. Questo esponenziale incremento di digitalizzazione ha portato a una notevole crescita di settori: fornitori di servizi tv, videogiochi online, e-commerce, social network, telemedicina, istruzione online, servizi streaming e molto altro.

Grazie al lockdown, molte aziende di questi settori hanno subito uno straordinario accrescimento di clienti: Netflix, nel primo trimestre del 2020, ha registrato 16 milioni di nuovi account, il doppio rispetto ai tre mesi precedenti; mentre la Tencent Holdings ha registrato un’impennata del 31% su base annua per quanto riguarda i ricavi del settore dei giochi online.

IL 5G

Questo, già consistente, sviluppo tecnologico è facilitato ancor di più dal 5G. Una nuova generazione della telefonia mobile, nata nel 2019, che si sta diffondendo sempre più. In alcuni Stati la sua espansione è ancora agli albori, mentre in Cina, Corea e Stati Uniti la sua efficienza è già a pieno regime.

Perché il 5G si concilia alla perfezione con questo sviluppo del digitale, causato dalla pandemia?

È molto semplice. Avendo trasferito una parte sostanziale delle attività sulle piattaforme digitali, si è andati ad appesantire il carico di dati presente sulle reti, causando un rallentamento della circolazione di informazioni e, in alcuni casi, pure il collasso di alcuni servizi. Il 5G, grazie alla sua capacità di trasmettere i dati ad altissima velocità e di gestire ingenti volumi di informazioni, mantenendo contemporaneamente un basso consumo energetico, si presenta, quindi, come miglior ripiego da adottare rispetto alle vecchie reti.

Com’è cambiato il commercio?

L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha inevitabilmente messo le radici pure nelle realtà commerciali, andando a causare non pochi cambiamenti. La Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo ha effettuato un’indagine su 3700 consumatori delle maggiori economie mondiali, per avere un quadro completo degli effetti con cui questa pandemia è andata a mutare le scelte di consumo delle persone. Quanto è emerso dall’indagine è in linea con la generale digitalizzazione delle altre attività, causata dal virus.

I consumatori si sono spostati online, ripiegando sull’e-commerce.

Più della metà degli intervistati, durante questo anno di pandemia, ha effettuato più acquisti online rispetto agli anni precedenti. Non a caso nella maggior parte delle categorie di prodotti, gli acquisti online hanno subito un aumento di almeno dieci punti percentuali. Però, nonostante questa crescita dell’e-commerce, la spesa media dei consumatori è diminuita, probabilmente a causa di questo clima di incertezza.

E se questa pandemia rallentasse il processo di automazione?

Carl Frey, un economista della Oxford University, sostiene che la crisi causata da questa pandemia rischia di porre un freno al processo di digitalizzazione. A fronte di questa incertezza economica le soluzioni tecnologiche più costose e innovative potrebbero essere ignorate a scapito di altri strumenti di automazione volti alla riduzione dei costi di produzione.

Questo trend di automazione, secondo Carl Frey, è in forte accelerazione: un valido esempio può essere quello del settore dei magazzini. Specialmente in Amazon e Walmart, l’uso di droni e carrelli automatici si sta diffondendo sempre di più, consentendo una migliore efficienza della logistica degli ordini e il distanziamento sociale, imposto dalla pandemia.

Però la sostituzione delle persone con le macchine è un problema di cui tenere conto. Una volta finiti i sussidi assistenziali, molte di queste persone non saranno più in grado di pagare il loro mutuo, rischiando il collasso del sistema finanziario. Altro fattore che va a gravare sull’aumento della disoccupazione è quello della delocalizzazione delle mansioni.

Miliardi di persone sono state costrette a svolgere il proprio lavoro da casa, magari a centinaia di chilometri dal proprio ufficio. Quindi l’abitudine di trasferirsi per lavoro o per studio potrebbe essere obnubilata dalle attività telematiche a distanza, andando a influenzare i flussi migratori dei lavoratori nel mondo. Secondo alcuni studiosi, il fenomeno svolge un ruolo essenziale per quanto riguarda il processo d’innovazione sia dei paesi di provenienza sia per quelli di destinazione.

Questa crisi, a lungo andare, oltre a far aumentare il tasso di disoccupazione, potrebbe bloccare lo sviluppo della digitalizzazione, ora in apparente e anormale crescita.

Fonti:

Am.pictet

Corrierecomunicazioni.it

Ansa.it


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