Ristorazione e sfruttamento

Da mesi ormai assistiamo all’infinita diatriba tra imprenditori del mondo della ristorazione e possibili dipendenti di questa. Da un parte chi offre lavoro e non lo trova, dall’altra chi lo cerca e allo stesso modo o non lo trova o non lo accetta per vari motivi.

Avrete sicuramente notato come questo dibattito sta infuocando svariati talk show della nostra televisione. Potreste chiedervi il perché e perché proprio questa frattura tipica “capitale-lavoro”. Innanzitutto, per la televisione, o i media in generale, è un ottimo pretesto per dividere come al solito l’opinione pubblica a metà. O sostieni uno o sostieni l’altro.

Oltre a questo, vi è in effetti un problema al riguardo. E il problema riguarda entrambi i fronti. Da una parte gli imprenditori che appunto si ritrovano senza personale e devono o far fare i salti mortali ai dipendenti che hanno oppure escogitare altri metodi. I lavoratori dal canto loro si vedono a un bivio, ovvero dover accettare un lavoro probabilmente sottopagato oppure rimanere ancora senza uno stipendio perché il lavoro proposto non offre garanzie.

Proviamo a vedere quali sono i punti di vista di entrambe le parti.

Imprenditori

Chi offre lavoro è sorpreso e anche indignato dalla situazione attuale. Vedendo questa enorme difficoltà nel reperire personale denuncia diversi fatti al riguardo. Una delle colpe principale viene data al reddito di cittadinanza. Secondo gli imprenditori sarebbe la causa principale del problema. “Piuttosto che lavorare ora le persone preferiscono restarsene a casa con 800 euro al mese”. Questa, riassunta in breve termini, una delle teorie che più circolano a oggi.

Oltre al reddito di cittadinanza, un’altra ragione, a sentir dei padroni delle attività è il fatto che queste nuove generazioni siano “svogliate”. Come qualche anno fa un noto ministro italiani affermò, sono dei “bamboccioni”. Forse un po’ ansiosi e arrabbiati per via di questo problema, i datori di lavoro sembra che non abbiano problemi a incolpare anche i dipendenti stessi. Secondo loro essi non avrebbero voglia di impegnarsi, sacrificarsi e mettersi in gioco. Insomma, vogliono la pappa pronta come si dice.

Ascoltando vari intervistati nel mondo della ristorazione, tra vip e non, nessuno di questi a quanto pare ha provato a farsi un esame di coscienza sui metodi di reclutamento e metodi di assunzione che utilizzano. E in queste settimane proprio i lavoratori stanno provando a invertire questa rotta.

Lavoratori

Dal punto di vista dei lavoratori la situazione è alquanto complessa. Nel mondo della ristorazione e più in generale quello del turismo stagionale la maggior parte dei dipendenti sono giovani ragazzi. Tra chi è in cerca di un lavoretto per pagarsi gli studi e chi invece un qualcosa di più stabile, entrambe le posizioni non sembrano più intenzionate ad accettare proprio tutto quello che gli passa sotto il naso. Finalmente mi verrebbe da dire.

E’ ovvio che, come sempre, non bisogna generalizzare e fare di tutta l’erba un fascio, come si dice. Detto questo non è una novità che nel nostro paese, e nel settore economico che stiamo descrivendo, i diritti e il mondo lavorativo dei relativi dipendenti non sono dei migliori.

Turni massacranti anche di 12 ore al giorno, giorni liberi quasi assenti o sotto la soglia minima, retribuzione insufficiente e molto altro. Partendo da questi fatti appurati, è facile intuire come le persone, prima di accettare un qualsiasi impiego in questo campo, valutino e ponderino la loro decisione anche in base a quanto descritto.

Parliamoci chiaro. In uno scenario come quello appena descritto molti sono stufi e non hanno intenzione di essere sfruttati, sottopagati e altro ancora. E questo deve essere chiaro a tutti. Il “sacrificio” che per alcuni imprenditori le nuove generazioni non sono capaci di fare non può essere sinonimo di sfruttamento. La normalità non può consistere nel lavorare una stagione o ogni mese e sapere che in cambio riceverò uno straccio di soldi.

La questione di fondo è semplice. Chi lavora deve essere pagato innanzitutto. Più lavoro e più devo essere retribuito. E oltre a questo deve essere presente anche il “contorno”, ovvero un contratto in regola, versamento costante dei contributi, diritto alle ferie, casse assistenza e altro ancora.

Mentalità opposte

Il nostro obiettivo non è quello di puntare il dito su chi ha più torto o se c’è una parte più meritevole dell’altra. Quello che forse, però, possiamo descrivere è una sorta di cambio di mentalità generazionale. Se una volta, o fino a pochi anni fa, si pensava “ va bene qualsiasi cosa basta che lavoro”, ora il pensiero critico attuale porta più a posizioni del tipo “ok a lavorare, ma a condizioni idonee e dignitose”. Il che dovrebbe farci riflettere, nel senso che fino a ora sembrava fosse normale che i diritti di centinaia se non migliaia di lavoratori venissero meno.

Come ben sappiamo, la nostra Costituzione afferma che “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”. E proprio perché il lavoro è considerato come le fondamenta del nostro paese, queste fondamenta devono essere solide, sicure, forti, altrimenti crolla tutto. E tale solidità deve essere anche in mondi lavorativi come quello della ristorazione e del turismo che tante volte vengono sottovalutati e lasciati in balia di leggi a sé.

 


Fonti:

huffingtonpost.it

Credits:

Copertina

 

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