Quasi nel silenzio, in due Paesi dell’Africa subsahariana, sono scoppiate agitazioni di grande portata. In Senegal e Guinea, infatti, a inizio marzo, si sono verificate rivolte popolari contro i rispettivi Governi.
L’Africa è un continente sicuramente complicato e non se ne parla mai abbastanza; comprendere le ragioni delle proteste scoppiate nei due Paesi più solidi della zona è importante per capire come la situazione si potrà evolvere.
Le proteste
In Senegal si verificano manifestazioni e proteste, anche violente, in sostegno di uno dei principali volti dell’opposizione verso l’attuale presidente Macky Sall. Ousmane Sonko è stato arrestato con l’accusa di stupro. Dalla popolazione senegalese, i metodi di Macky Sall vengono sempre più considerati autoritari e antidemocratici: la manovra attuata sarebbe il tentativo di zittire e ostacolare i membri dell’opposizione in vista delle prossime elezioni presidenziali.
Nella capitale Dakar, le proteste sono state numerose e in alcuni casi violente. Oltre alla polizia che ha usato gas lacrimogeni e causato quattro vittime, i rivoltosi hanno assaltato la sede di un giornale e di un’emittente radiofonica considerata vicino al Governo.
Una Democrazia debole
Le proteste in Senegal nascono da lontano, l’arresto di Sonko è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Per questo, è emblematica la dichiarazione dello storico senegalese Felwine Sarr:
Senegal, una democrazia alla deriva.
Il Paese versa ormai da molti anni in una situazione di crisi politica e sociale che la pandemia ha soltanto aggravato. La crisi economica e di opportunità ha reso uno dei Paesi all’avanguardia della democratizzazione dell’Africa occidentale incapace di affrontare le sfide dello sviluppo e della regressione politica. Alioune Badara Cissé, difensore civico nella Repubblica del Senegal, una carica che ha lo scopo di mediare fra l’amministrazione politica e la società, ha dichiarato che la Repubblica si trova sull’orlo dell’apocalisse.
A seguito di queste proteste, il silenzio del Governo senegalese è ancora più assordante. Né il presidente Macky Sall né il ministro dell’interno del suo Governo hanno rilasciato dichiarazioni di alcun tipo.
Le ragioni dei giovani
La crisi è ancora più evidente se la si analizza dal punto di vista dei giovani. Il difensore civico Cissè ha elencato le difficoltà dei giovani senegalesi e dell’assenza di opportunità nei loro confronti. Molti migranti partono a bordo di piroghe verso l’Europa, molte volte morendo in mare.
Inoltre, alcuni manifestanti hanno colpito i simboli di una presenza coloniale francese giudicata troppo presente e ingombrante. In Senegal troviamo supermercati Auchan, pompe di benzina Total e autostrade gestite da enti francesi. Per i senegalesi, la Francia protegge il presidente Macky Sall; lo stesso Paese europeo fa fatica a liberarsi del suo passato coloniale. Il nuovo presidente Macron ha cercato di presentarsi agli occhi degli africani come un nuovo leader che non aveva nulla a che fare con il passato. Nel 2017, il presidente francese ha dialogato coi giovani a Ouagadougou.
Il quasi fallimento del Senegal riguarda tutti, perché apre a un nuovo scenario: il fallimento di un sistema governativo post-coloniale.
La Guinea
Sempre in Africa occidentale, anche la Guinea è stata infiammata da proteste; i motivi riguardano, anche in questo caso, il processo democratico. Il contesto è diverso da quello senegalese, nonostante i due Paesi siano confinanti. In Guinea, infatti, le proteste vanno avanti a fasi alterne almeno da ottobre 2019 e sono rivolte contro l’attuale presidente Alpha Condé.
Il colpo di stato costituzionale e lo scontro etnico
Le opposizioni accusavano Condé di volere intraprendere un colpo di Stato, cambiando la costituzione; gli emendamenti proposti dal presidente, effettivamente, prevedevano la proroga dei mandati da due a tre e l’allungamento da cinque a sei anni per ogni singolo mandato.
A ottobre 2020, dopo le elezioni e la rielezione, le proteste sono scoppiate pesantemente a Konakry, la capitale. Le manifestazioni contro la sua vittoria hanno causato almeno cinquanta morti, duecento feriti e arresti arbitrari tra i cittadini guineani scesi in piazza. Nelle proteste bisogna anche leggere un motivo etnico preciso. Il presidente Condé, difatti, è espressione della popolazione di etnia Malinke, mentre l’opposizione è espressione di quella Fulani. In alcune zone del Paese, sostenitori di Condé hanno ferito cittadini guineani Fulani e saccheggiato le loro proprietà.
Il processo democratico mai iniziato
Condé è il primo presidente a essere stato eletto dopo due anni di giunta militare nel 2010; il presidente guineano era visto come il primo passo per inserire la Guinea in un processo democratico. Le speranze sono state disilluse fin da subito. Nonostante la Guinea sia un Paese ricco di risorse naturali, come la bauxite e il ferro, ha una delle popolazioni più povere dell’intero continente; inoltre, nelle manifestazioni che si sono susseguite dal 2010, le vittime di colpi d’arma da fuoco sono state novantaquattro, un numero elevato.
Senegal e Guinea mostrano come la via africana per la democrazia debba essere ancora trovata. Se il Senegal, fino a qualche anno fa, poteva essere considerato un modello, adesso non più. I momenti di crisi sociale ed economica vengono ancora affrontati con metodi autoritari, la Guinea, prolifica di risorse naturali e quindi potenzialmente ricca, non riesce ancora a incamminarsi verso una democrazia solida.
Fonti:
Sicurezzainternazionale.luiss.it
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