La settimana corta: perché adottarla in Italia

La pandemia ha spinto negli ultimi anni l’economia globale a rivedere il rapporto tra i cittadini e la propria professione e per questo motivo diversi sono stati i cambiamenti che il mondo del lavoro ha subito, e continua a subire, non solo in tema di smart working.

Uno degli argomenti più caldi in questo periodo riguarda quella che viene definita la «settimana corta», di cui si parla molto soprattutto negli ultimi giorni.

In Regno Unito l’esperimento sulla settimana corta, iniziato proprio in connubio con lo smart working, è stato un successo sia da un punto di vista dei profitti per le aziende che hanno adottato questo modello, ma anche e soprattutto per quanto riguarda un considerevole aumento del benessere dei lavoratori.

I dati parlano da se: il 39% degli intervistati ha affermato di essere meno stressato lavorando un giorno in meno, e oltre la metà dei dipendenti hanno affermato di poter conciliare meglio vita personale e lavoro.

Infine, non meno importante, il numero di persone che ha cambiato lavoro durante questa sperimentazione in Regno Unito è diminuito in maniera considerevole rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

In cosa consiste la settimana corta?

L’idea della settimana corta incorpora (quando possibile) anche lo smart working e fa riferimento a una settimana lavorativa composta da 4 giorni al posto dei classici 5.

L’orario lavorativo può rimanere invariato, o subire delle minime modifiche come ad esempio un’ora in più al giorno, mentre per quanto riguarda il salario questo non viene toccato o subisce una leggera riduzione.

L’idea che sta alla base della settimana corta è quella di garantire una maggiore flessibilità del lavoro, ma anche una maggiore produttività, perché, come anticipato, questa può aumentare il benessere e il morale dei lavoratori e diminuire il carico di stress, oltre a garantire una migliore stabilità tra la vita e lavoro. 

Nel mondo

Se il Regno Unito è stato il punto di partenza, diversi sono stati i Paesi che conseguentemente  hanno adottato e implementato l’idea della settimana corta.

Come ad esempio l’Islanda, che di fatto aveva già fatto una sperimentazione dal 2015 e il 2019 arrivando a stabilire che, proponendo questo modello lavorativo, non solo si ricava un aumento del benessere dei lavoratori ma anche un incremento nella produttività del lavoro stesso.

Anche in Belgio, Portogallo e nei Paesi Scandinavi è stata introdotta la settimana lavorativa di 4 giorni nel 2022.

Anche il Giappone, noto per la sua etica lavorativa molto diligente, ha iniziato ad adottare la settimana corta proprio in virtù di una cultura lavorativa che risulta essere molto rigida e dove si verifica spesso il fenomeno “karoshi“, ovvero la morte dovuta a un eccessivo carico lavorativo dei lavoratori. 

In Italia

A partire dal mese di gennaio, Intesa Sanpaolo è stata la prima realtà italiana ad avanzare importanti novità in tema di organizzazione e rinnovamento del lavoro.

Questo grazie alla proposta della settimana corta di 4 giorni da 9 ore lavorative a parità di retribuzione, su base volontaria e compatibilmente con le esigenze tecniche organizzative e produttive della Banca, senza obbligo di giorno fisso; oltre che garantendo l’evoluzione dello smart working con la possibilità di lavoro flessibile fino a 120 giorni all’anno.

Il modello Intesa Sanpaolo rappresenta un accordo e una svolta storica in linea con la volontà del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini che aveva lanciato già la proposta in un’intervista alla Stampa.

In questa occasione il segretario ha annunciato che a metà marzo presenterà una proposta concreta per la settimana corta anche nel nostro Paese affermando che: “Di fronte alla rivoluzione tecnologica, che porta a un aumento di profitti e produttività, si deve praticare la ridistribuzione della ricchezza e di come viene accumulata anche attraverso la riduzione dei tempi di lavoro”. 

Benefici e dubbi

Il cosiddetto modello Intesa Sanpaolo 4×9, con 36 ore di lavoro anziché 37 e mezzo e con una giornata libera in più del lavoratore per poter conciliare meglio lavoro e vita privata ha ricevuto molte critiche positive e Giacomo Sturniolo, segretario nazionale della Fisac Cgil, ha espresso tutta la sua soddisfazione per questo storico accordo.

Questo risultato ha portato alcune (per ora non tantissime) aziende a provare a mettere in campo un sistema del genere, e di conseguenza il governo sarebbe pronto a valutare di trasformare il modello di sperimentazione in una vera e propria realtà futura, seppur con i relativi dubbi.

Il primo nodo da sciogliere è relativo alle ore lavorative giornaliere, che da 8 arriverebbero a 9, ma anche il salario potrebbe subire delle modifiche.

Inoltre bisogna tenere in conto anche che il tasso di occupazione in Italia vede essere concentrato soprattutto al Nord, mentre è molto più basso al Sud.

E ultimo ma non da meno è la questione smart working che potrebbe andare di pari passo alla settimana lavorativa, ma che di fatto non può essere applicato in tutte le categorie lavorative. 

Conclusioni

Se l’idea e la proposta che verrà messa al bando nei prossimi giorni risulta molto ambiziosa (in quanto permetterebbe ai dipendenti di lavorare per quattro giorni alla settimana, quindi per meno ore settimanali e senza una riduzione, almeno non evidente, dello stipendio ma con un apparente miglioramento del proprio benessere) bisognerà capire se questo modello può e potrà essere adottato in tutti gli ambiti lavorativi e in che modo soprattutto.

 

FONTI

collettiva.it

group.intesasanpaolo.com

ilmessaggero.it

money.it

 

CREDITS

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