Attivisti climatici: arresti e inasprimento delle misure di sicurezza.

Attivisti climatici: arresti e inasprimento delle misure di sicurezza

Gli attivisti climatici di ultima generazione, che abbiamo potuto osservare recentemente in tutto il mondo, potrebbero essere soggetti a pene più severe rispetto ai loro predecessori.

Recentemente, tre attivisti hanno imbrattato la facciata del Senato mediante l’uso di una vernice arancione, e dopo essere stati colti in flagrante, sono stati arrestati.

Tale arresto è risultato possibile grazie al Decreto Sicurezza bis varato da Salvini, volto a inasprire le pene per il danneggiamento aggravato. In realtà, la vernice era lavabile con acqua. All’interno del Codice Penale vi è una fattispecie che descrive tale casistica, la quale non consente l’arresto, essendo “deturpamento o imbrattamento di cose altrui”. La tesi del collettivo Ultima generazione è stata ricostruita dal quotidiano Domani, e ricorda che l’arresto svolto ai danni dei tre ragazzi a Roma è dovuto all’aumento delle pene voluto da Matteo Salvini. Il decreto ha infatti innalzato le pene edittali per il danneggiamento aggravato, prevedendo addirittura un massimo di cinque anni di reclusione.

Facendo affidamento alla legge relativa alla deturpazione, gli attivisti hanno pianificato l’azione. La norma riguardante l’imbrattamento punisce dunque chi “imbratta o deturpa”, appunto, un bene altrui. Il Senato ricoperto di vernice rientra quindi in tale descrizione, in quanto alterazione temporanea e superficiale, facilmente risolvibile.

Questa è stata la tesi sostenuta dalla difesa dei giovani durante l’udienza di convalida, la quale non è stata però condivisa dalla giudice per le indagini preliminari. Quest’ultima, infatti, ha stabilito l’arresto come legittimo, pur non applicando nei confronti degli indagati alcuna misura cautelare.

E nel resto d’ Europa?

In Olanda, centinaia di attivisti hanno bloccato una delle strade primarie per arrivare all’Aja, respingendo dunque i tentativi di impedire la protesta. Coloro i quali si rifiutavano di sgomberare, sono stati arrestati.

Verso l’inizio della settimana, sei partecipanti di Extinction Rebellion sono stati arrestati dalle autorità con l’accusa di sedizione legata all’invito di prendere parte alla manifestazione.

Gli episodi di repressione della “disobbedienza civile” relativa alla crisi eco-climatica sono numerosi, e continuano ad aumentare in quantità. Gli attivisti di Extinction Rebellion parlano di fermi identificativi che si protraggono per svariate ore, diversamente dai pochi minuti necessari per richiedere i documenti.

Sono numerosi anche i casi segnalati da Fridays for Future, di cui tre ambientalisti a Milano erano stati perquisiti successivamente all’imbrattamento della sede di una società energetica, controllata dal colosso russo Gazprom. I giovani avevano poi denunciato sui social l’utilizzo di metodi intimidatori in quell’occasione, quali l’essere costretti a spogliarsi e fare delle flessioni. Funzionali, a quanto sembra, per controllare l’assenza di armi.

Greta Thunberg, fermata in Germania durante una manifestazione.

Greta, ormai nota in tutto il mondo, ha partecipato alla manifestazione in Germania contro l’espansione della miniera di carbone di Garzweiler. Si era unita alle proteste il venerdi, ossia il giorno successivo all’inizio delle operazioni di sgombero da parte della polizia.

Svariati manifestanti avevano occupato alcune zone del paesino di Lutzerath, il quale sarebbe destinato a sparire in modo da permettere la costruzione delle cave. Sono stati diffuse foto e video ritraenti Greta presa di peso dai poliziotti, intenti a distanziarla dal luogo dove gli altri attivisti stavano manifestando. Con lei, sembrano essere state fermate altre persone, ma non vi sono numeri chiari.

Migliaia di manifestanti, che da mesi occupavano il piccolo paesino protestando per la sua probabile scomparsa, sono stati sgomberati. Il sabato circa 10mila attivisti si erano riuniti per bloccare le operazioni di distanziamento da parte degli agenti, contro i quali vi erano stati alcuni scontri.

E’ assurdo che tutto questo stia succedendo nel 2023”, Thunberg ha così commentato la vicenda, aggiungendo poi che “la scienza parla chiaro: dobbiamo tenere il carbone sottoterra. La Germania si sta davvero rendendo ridicola in questo momento”.

Contrariamente a quanto riportato inizialmente dai media, la conosciuta attivista svedese non era stata arrestata, ma bensì fermata. Greta, insieme ad altri manifestanti coinvolti nella protesta, sarebbe stata allontanata dal sito della manifestazione, ritenuto pericoloso.

Successivamente al controllo dei documenti, tutti gli attivisti sono stati dunque rilasciati.

Drammatiche e sanguinarie realtà.

Un rapporto annuale di Global Witness stima, dopo circa un decennio di monitoraggio sul tema, che in tutto il mondo sono morti 1733 attivisti, di cui il 40% appartenente a popoli indigeni. Il picco di tale fenomeno è stato nel 2020, in cui vi sono state 227 morti. Un omicidio ogni due giorni.

Questa scia di sangue tocca ogni continente, ma si focalizza principalmente in America Latina e Centrale, dove vengono uccisi più attivisti climatici rispetto al resto del mondo.

Dall’inizio del suo operato, l’Ong Global Witness ha osservato delle tendenze specifiche. In primo luogo, vi è il controllo e l’utilizzo del territorio all’interno della nazione in cui gli attivisti vengono minacciati. Nel rapporto è possibile leggere che

gran parte dell’aumento delle uccisioni, della violenza e delle repressioni è legato ai confini territoriali e al perseguimento di una crescita economica basata sull’estrazione delle risorse naturali”.

Solo nel 2021 gli omicidi sono stati 200, di cui la maggioranza verificatasi in Messico, Colombia, Brasile e Filippine. Per circa 143 uccisioni, però, il movente non risulta essere chiaro. Nelle occasioni in cui invece i dati sono certi e confermati, i driver primari sono le attività minerarie e le installazioni di centrali idroelettriche.

Questa strage continua trova i suoi esecutori in sicari, gruppi di criminalità organizzata e, in alcune casistiche, gli stessi governi.

Il caso di Phillips e Pereira, uccisione ancora irrisolta.

Nel giugno del 2021 ha ottenuto un vasto eco mediatico l’uccisione, in Amazzonia, del giornalista Dom Phillips e dell’attivista brasiliano Bruno Pereira. Phillips stava lavorando a un libro riguardante l’Amazzonia, incentrando il focus sullo sviluppo sostenibile.

Le indagini, tutt’ora in corso, non hanno portato a dei risultati soddisfacenti. Vandana Shiva, ambientalista indiana, ha sottolineato nella prefazione del rapporto che

non siamo solo in un’emergenza climatica. Siamo alle porte della sesta estinzione di massa e questi difensori sono tra le poche persone che si oppongono a tale situazione. Non meritano protezione solo per delle elementari ragioni morali. Ne va del futuro della nostra specie e del nostro pianeta”.

L’organizzazione ha poi richiesto azioni urgenti da parte dei governi e delle aziende, volte a decriminalizzare gli attivisti ed eliminare la violenza nei loro confronti.

Sono necessarie delle leggi che li proteggano e ne estendano i diritti, così come delle valide politiche aziendali che prevengano qualsiasi danno o lesione contro questi attori e gli spazi che difendono.

Fonti:

  1. Rinnovabili.it
  2. Today.it
  3. Il Post.it
  4. Sky Tg24.it
  5. Il Sole 24Ore.com
  6.  Il Fatto Quotidiano.it
  7. Il Fatto Quotidiano.it

Credits immagini:

  1. File:It’s a cowspiracy !
  2. #NoDAPL 
  3. 2014 People’s Climate March NYC 26  

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