Cos’è
Per vittimizzazione secondaria si intendono quei danni di vario tipo che le vittime subiscono ulteriormente a quelli già ricevuti nel momento in cui subiscono un torto o un reato. Nel caso delle donne, specificamente vittime di violenza sessuale, oltre ad avere ricevuto danni fisici, psicologici e simili al momento dell’atto subito, diventano vittime per la seconda volta dal punto di vista mediatico, sociale, processuale. Perché rivivono quell’orrenda esperienza nel momento della denuncia o del processo, o perché spesso vengono messe ingiustamente alla gogna dai media.
Il concetto di vittimizzazione secondaria può essere applicato a qualsiasi tipo di reato subito da qualunque individuo. Ma nel caso appena descritto, l’esistenza di questo problema è tangibile e ben visibile. Nonostante questo esso sfugge a molte persone, anche a coloro che spesso hanno il compito di raccontare, osservare tali storie.
Vittimizzazione primaria
Mi riferisco in particolare al nostro panorama mediale nazionale e vi invito a far molta attenzione a come numerosi giornali, talk show o simili impostano e affrontano il tema. Partiamo dal fatto centrale, ovvero la violenza sessuale subita da una donna (= vittimizzazione primaria). Il reato viene sbattuto sulle pagine principali dei quotidiani e, se a commettere il reato è una persona di un certo rilievo, la discussione e la notizia diventa praticamente virale e rimane al centro dell’attenzione. Si veda per esempio l’ormai noto “caso Genovese”.
Da questo momento parte la caccia all’uomo mediatica e sociale. O meglio, l’avvenimento non viene denunciato solo a livello processuale, ma anche giustamente a livello civile e sociale. Quindi, tutti gli occhi in quel momento sono puntanti sul colpevole, o su chi apparentemente sembra abbia commesso il crimine. Una volta che però l’effetto indignazione inizia a venir meno, il focus del discorso prende una piega poco carina.
Puntare il dito
Cosa succede? Le persone probabilmente non si accontentano di puntare il dito contro l’aggressore; una volta che hanno finito di scagliarsi contro di esso non resta che voltarsi e iniziare a contestare il comportamento della vittima. Sia chiaro, non è sempre così. Non è un comportamento automatico, ma negli ultimi anni si è riscontrata una certa facilità nell’assistere a situazioni di questo tipo.
Capita, soprattutto, di riscontrare quanto riportato sopra quando le vittime sono ragazze giovani, che hanno subito il reato magari a una festa, o in situazioni apparentemente di svago e divertimento. Il problema che sorge a questo punto è il fatto di incolpare anche la vittima. In che modo? Accusandole di varie pecche o colpe. Per esempio, sempre prendendo spunto dal “caso Genovese”, alle ragazze violentante veniva criticato il fatto di aver partecipato a una festa dove “si sa cosa si fa in quei posti” oppure “vestite così cosa pensavano di fare” e simili cattiverie.
Colpe senza senso
È questa la vittimizzazione secondaria. Ovvero, il fatto che le vittime lo diventano nuovamente per la seconda volta. Non bastava subire la violenza fisica e materiale, ma bensì, viene rincarata la dose con stereotipi, cattiverie e altro che non aiutano affatto le donne e le ragazze ad affrontare una situazione delicatissima.
Questo problema, che come abbiamo accennato prima, è osservabile soprattutto a livello mediatico non è ammissibile. Innanzitutto per una questione pratica, di principio. Perché si vanno a creare delle contraddizioni e perché soprattutto si fa venire meno la libertà personale dell’individuo. In questo caso quella delle ragazze o donne che hanno subito la violenza.
Spieghiamoci meglio. Quale sarebbe la colpa che ha una ragazza violentata? Di essersi vestita troppo bene? Di aver esagerato con il trucco o di aver fatto sembrare allo stupratore che fosse consenziente quando invece non lo era? No, nessuna di queste o di altre considerazioni è valida per scagionare il colpevole o per incolpare la vittima.
La bassezza dei nostri programmi televisivi e non sta anche in queste considerazioni. Come si può pensare di giustificare un comportamento illegale e disumano come lo stupro e la violenza sessuale additando colpe inesistenti alla vittima? Non ha nessun senso e collegamento. Ebbene in Italia non riusciamo a volte a distinguere le cose, ma ci piace mischiare e fare di tutta l’erba un fascio.
Puniti
A ragione di quanto appena specificato, la Corte Europe dei diritti umani ha dato al nostro Paese una bella lezione. La Corte ha analizzato il cosiddetto caso dello “stupro di Fortezza del Basso”, la quale ha affermato che: “il linguaggio adoperato e le argomentazioni utilizzate nella sentenza assolutoria della Corte di Appello di Firenze, con cui nel 2015 vennero assolti i colpevoli di quello che i giornali chiamarono lo ‘stupro di Fortezza Basso’, sono intrisi di stereotipi sessisti. Nell’esaminare la sentenza viene evidenziato come le parole usate dai magistrati italiani spostino la responsabilità dell’accaduto dai colpevoli alla vittima, condannando quest’ultima a subire gli effetti della c.d. ‘vittimizzazione secondaria’.
La sentenza della Corte europea è tanto precisa quanto allarmante. Quello di cui parlavamo nel paragrafo precedente è riassunto e spiegato in maniera impeccabile nella decisione dei giudici che affermano che i magistrati italiano hanno spostato la responsabilità dai colpevoli alla vittima. Ed è proprio questo il punto e il problema: rovesciare la situazione trasformando la vittima in colpevole e i colpevoli in individui che sono cascati nella trappola della stessa.
Sottovalutazione
La vittimizzazione secondaria è un fatto che viene troppo spesso ignorato o affrontato con insufficienza. I rischi di ricadute a livello psicologico sono enormi e delicati. Oltre a esserlo per le ragazze che direttamente subiscono questo torto, può diventare pericoloso anche per coloro che hanno paura a denunciare una violenza. Perché temono di cadere in questo vortice di insulti e isolamento che farebbe aumentare a dismisura i problemi che già derivano dalla violenza.
Fonti:
Credits: