In memoria di Capaci e Via d’Amelio

Esattamente 30 anni, le strade italiane si riempivano di sangue per colpa della mafia, in particolare del sangue di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (e molti altri), per la salvezza della democrazia.

Mafia

A oggi conosciamo abbastanza bene il termine mafia, che risuona nelle orecchie e fa rabbrividire un po’. Siamo più consapevoli del fatto che i favoritismi, la corruzione, possano portare a stragi già preannunciate, ma che difficilmente si suole ammettere.

Capaci

La montagna che dall’aeroporto di Palermo accompagna il viaggiatore, è indiretta responsabile della strage che avvenne il 23 maggio 1992.

Su quella collina oggi c’è una piccola costruzione su cui c’è scritto “NO MAFIA“.

È ben visibile dalla strada, la sovrasta maggiormente rispetto alla collina stessa da cui fu ucciso Giovanni Falcone, insieme agli uomini della sua scorta.

Questo per ricordare che la mafia esiste tutt’oggi, la forza delle parole e delle azioni è maggiore della morte stessa di coloro che si battono per sconfiggerla.

La vicenda

Quel giorno, fu Giovanni Brusca che azionò il telecomando da cui si scatenò l’inferno su quell’autostrada. Invece, la carica di esplosivo è stata preparata dall’artificiere Pietro Rampulla.

A bordo della macchina vi erano Giovanni Falcone, gli uomini della scorta Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani. 

La moglie di Falcone, Francesca Morvillo, anche lei magistrato, è morta poco dopo in ospedale.

Falcone in quegli anni era direttore degli affari penali del Ministero della Giustizia. Insieme al pool di collaboratori, tra cui Borsellino, Falcone ha istruito il maxiprocesso contro la mafia. Il pool guidato da Antonino Caponnetto, è riuscito in pochi anni a mandare al processo 474 deputati.

Sia Falcone che Borsellino erano consapevoli del fatto che le loro vite fossero in pericolo: per loro le insidie erano ovunque, soprattutto nel Palazzo della Procura, o “palazzo dei veleni“.

I due magistrati chiamavano così il Palazzo della Procura di Palermo ma oggi indica qualsiasi istituzione o situazione infiltrata dalla mafia, corrotta o che mira a invalidare le autorità giudiziarie.

Via D’Amelio

Il 19 Luglio del 1992, in un giorno di piena estate palermitana, in una città che aveva già dimenticato la strage di Capaci, come se fosse normale morire su un’autostrada, come fosse normale vivere in una città in cui a ogni angolo moriva un magistrato o un giornalista, Paolo Borsellino trovò la morte annunciata.

Infatti, a meno di due mesi dalla morte del collega e amico Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, ormai lasciato solo dai pochi colleghi che rimangono, lo sa che il prossimo obiettivo sarà lui.

Eppure i ministri del governo, tra cui Andreotti, Claudio Martelli e altri, volevano che Borsellino fosse eletto  capo della Direzione Antimafia.

Inoltre, la Squadra Mobile di Arnaldo La Barbera e l’ufficio scorte non gli hanno rafforzato la tutela fisica, ispezionando i luoghi da lui frequentati, tra cui appunto Via D’Amelio, dove abitava la madre. Lo hanno quindi tradito, mandandolo spedito di fronte la morte.

Cosa Nostra segna un’altra spunta nell’elenco delle persone da eliminare che Totò Riina ha stilato nel 1991, poco prima delle stragi. Borsellino, dopo la morte di Falcone, riprende in mano l’indagine sugli appalti che ha portato Falcone a ipotizzare la finanziarizzazione della mafia nell’imprenditoria nazionale.

Ma anche Cosa Nostra corse affinché Borsellino non giungesse alle conclusioni.

Intervista e verità

In un’intervista rilasciata a due giornalisti de l’Espresso e pubblicata solamente nel 1994, Borsellino parlò a lungo di Vittorio Mangano, stalliere di Arcore e del fratello Marcello dell’Utri, il braccio destro di Silvio Berlusconi. Borsellino ha capito che la storia dei traffici di droga tra Palermo e Milano sia una faccenda da approfondire e inizia a interrogare in segreto il pentito di mafia, Leonardo Messina.

Fumo e incendio

Tra il fumo e l’incendio che avvolge Via D’Amelio, alcuni uomini in abito scuro rubano l’agenda del giudice e scappano via, proprio dopo l’esplosione che vede la morte di Borsellino e della sua scorta.

Da quel momento in poi, Palermo e tutta l’Italia saranno una carneficina infinita, moltissimi saranno i giudici uccisi dalla Mafia. Palermo oggi è diversa: grazie al progetto e all’applicazione “NOMA” si possono osservare tutti i punti della città in cui sono stati uccisi uomini implicati nella lotta contro la mafia, che non tutti conoscono.

Oggi

Ad oggi rimangono ancora molti punti scuri da sciogliere. I parenti delle vittime di mafia non conoscono le certezze e la verità non è stata ancora totalmente raggiunta.

Le uniche certezze riguardano il fatto che di mafia si parla tanto, ma forse non se ne parlerà mai troppo. Le autorità e l’istruzione devono collaborare. È necessario che le persone siano consapevoli della lotta che giornalisti e giudici hanno svolto, del fatto che oggi molti giornalisti abbiano le scorte. È necessario che sappiano cosa voglia dire essere umani e non solo persone. Solo col ricordo e con la lotta attiva si potrà eliminare la mafia, che aleggia nelle città del mondo.


Fonti

torinorepubblica.it

ilbolive.unipd.it

Credits

copertina

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