Aborto in Italia: tra passato e presente

Tra i temi più scottanti emersi nei giorni dopo le elezioni, uno di quelli che desta molta inquietudine è l’aborto.

La vittoria elettorale della leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, ha infatti turbato molte donne italiane, preoccupate di una possibile svolta reazionaria in tema di aborto. L’opposizione femminista non ha tardato a farsi sentire. Sono state numerose le proteste in favore al diritto all’aborto e alla tutela dei diritti e della salute della donna.

Conoscere la storia è sempre il punto di partenza primo per analizzare il presente e per agire al meglio per il nostro futuro. Sapere come si è ottenuto il diritto all’aborto e analizzare i dati relativi ad esso è dunque fondamentale per comprendere le vicende attuali.

Storia dell’aborto

L’aborto ha una storia molto vecchia: già le popolazioni antiche utilizzavano erbe mediche, utensili appuntiti o la pressione addominale. Ovviamente, molte cose potevano andare storte e provocare la morte della donna. Anche l’infanticidio era largamente praticato e accettato.  Esempi famosi si ritrovano nei miti greci dove dei bambini vengono esposti nei boschi e lasciati lì a morire: Edipo vi dice niente?

Con il Rinascimento, la Chiesa per la prima volta esprime un’opinione contraria all’aborto, paragonandolo a un vero e proprio omicidio e rendendolo proibito ad ogni cristiano.

I primi cambiamenti storici si hanno nel XX secolo: prima nell’Unione Sovietica, poi in Islanda e Svezia dopo la Prima guerra mondiale. Seguirono Ungheria, Polonia, Bulgaria, Cecoslovacchia, Inghilterra e Iugoslavia dopo la Seconda guerra mondiale. Il movimento femminista ha avuto un importante ruolo in questi avvenimenti storici.

In America l’aborto divenne legale a livello federale nel 1973 dopo il processo “Roe contro Wade”, ma alcuni stati lo avevano già depenalizzato in alcuni casi.

(Evitiamo qui di riprendere la vicenda americana in merito all’annullamento della Roe vs. Wade, ci sarebbero troppe parole da dire e ne abbiamo già spese abbastanza)

In Italia

In Italia, le numerosi morti dovute agli aborti illegali avevano portato la questione alla ribalta tra gli anni ’50 e ’60. Le proteste giovanili e le lotte femministe fecero la loro parte sulla sensibilizzazione del tema e agli inizi degli anni ’70 una prima proposta di legge fu presentata al Senato. La  legge sull’interruzione della gravidanza arrivò alla Camera all’inizio del 1977, ma fu accantonata a causa dell’opposizione della DC.

Una nuova proposta venne presentata, limitando alcuni aspetti della prima, e riuscì ad essere approvata e pubblicata, come legge 194, il 22 maggio 1978.

La donna otteneva il diritto di abortire durante i primi 90 giorni di gravidanza. Veniva inoltre permesso l’aborto anche tra il quarto e quinto mese in casi particolari che ne avrebbero compromesso la salute.  Tuttavia, nel testo, veniva ammessa l’obiezione di coscienza, uno degli ostacoli più grandi per l’accesso all’aborto in Italia.

Dati sull’aborto

Sul sito dell’OMS si possono ritrovare numerosi dati relativi alla pratica dell’aborto nel mondo.

L’OMS afferma che la mancanza di accesso a cure per l’aborto sicure mette a rischio il benessere fisico e mentale delle donne in tutto il corso della loro vita. Il mancato accesso all’aborto rischia di violare il diritto alla vita delle donne, il diritto alla salute, il diritto di beneficiare del progresso scientifico, il diritto di non subite torture e trattamenti disumani e degradanti.

Ogni anno tra il 4,7% e il 13,2% delle morti materne può essere attribuito ad un aborto non sicuro. Nelle regioni, cosiddette, sviluppate si stima che le morti materne per aborti non sicuri siano circa 30 ogni 100.000.  Nei “paesi in via di sviluppo” il numero sale a 220 morti per 100.000 aborti non sicuri.

I rischi di un aborto non sicuro possono essere: mancata rimozione del tessuto, emorragia, infezione, perforazione uterina, danni ai tratti genitali e/o organi interni.

Le complicazioni degli aborti non sicuri costano ai sistemi sanitari circa 553 milioni di dollari l’anno per le complicazioni successive all’operazione; e anche le famiglie risentono di perdite nel loro reddito per le conseguenze mediche degli aborti non sicuri.

Rendere l’aborto illegale, inoltre, non ne riduce il numero di coloro che lo praticano, al contrario! L’OMS riporta che nei paesi con leggi più restrittive, le persone che praticano l’aborto sono di più.

Dunque, l’aborto sicuro non solo tutela la salute delle donne e i loro diritti, ma è anche un possibile vantaggio per le finanze statali e private.

E sono infine da considerare anche i risvolti psicologici e sociali dell’impedimento all’aborto sicuro: le donne tendono a sentire un forte senso di vergogna e disagio, a sentirsi isolate, e c’è un grande rafforzamento dello stigma che porta a una forte esclusione sociale.

Nuovo governo e proteste

L’ascesa di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, ha sollevato numerosi dubbi sul possibile futuro della questione abortiva in Italia.  Secondo quanto riporta il Post, la Meloni non vuole abolire né modificare la legge 194, ma vuole agire per combattere il calo demografico e dunque aiutare le donne a non essere costrette ad abortire attraverso sussidi economici.

Giorgia Meloni afferma che il diritto all’aborto in Italia è sempre stato garantito, ma i dati dicono altro: la Relazione sullo stato di applicazione della legge 194 ci informa che “nel 2019 le Regioni hanno riferito che ha presentato obiezione di coscienza il 67,0% dei ginecologi, il 43,5% degli anestesisti e il 37,6% del personale non medico“.

Meloni difende a spada tratta gli obiettori di coscienza e la loro libertà, ma pensare di far coesistere questo con la libertà di scelta delle donne è un’idea illusoria e irrealizzabile.

Tutti questi fattori hanno generato molto turbamento e inquietudine e successivamente alle elezioni e alla vittoria di Fratelli d’Italia, le proteste sono scoppiate. Il movimento Non Una Di Meno ha organizzato il 28 settembre manifestazioni in tutta Italia infiammando le piazze e richiedendo garanzie per un aborto libero, sicuro e gratuito.

Conclusioni

Non siamo qui a discutere su questioni morali, se sia giusto o meno abortire: a ognuno le proprie idee e la libertà di pensarle.

Qui parliamo del diritto alla salute, che uno Stato che si dice libero dovrebbe preservare. L’articolo 32 della Costituzione Italiana dichiara infatti che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Negare l’aborto legale e controllato significa negare un diritto e mettere potenzialmente in pericolo ogni singola cittadina.

Gli obiettori di coscienza non sono obbligati a diventare ginecologi, la loro strada può essere un’altra. Le donne, però, non hanno un’altra strada se non quella di confidare che il proprio Stato garantisca che il diritto alla salute venga rispettato.

Ma tra le due questioni, garantire ai primi la libertà di esercitare una professione che può mettere a rischio la salute di migliaia di donne sembra interessare di più il nostro Stato che tutelare la salute delle stesse.


Fonti

Vanillamagazine.it

WHO.int

Ilpost.it

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