Bastøy: verso il futuro nelle carceri norvegesi

Le carceri in Italia

Sovraffollamento, tentativi di suicidio, negazione dei bisogni fondamentali dell’uomo: queste sono le condizioni ormai note delle carceri italiane e di cui, forse, ancora poco si parla.

Un sovraffollamento che appare oggi preoccupante: negli ultimi due anni il numero di detenuti è aumentato fino a circa 6.000 unità, senza un conseguente aumento dello spazio a loro dedicato. Aumentano i detenuti, ma allo stesso tempo diminuiscono i crimini, soprattutto da parte di stranieri che, secondo le ultime analisi, sono passati a 2.000 in meno rispetto a dieci anni fa. Infine, secondo i dati raccolti dall’Osservatorio sulle carceri Ristretti Orizzonti, nei primi tre mesi del 2018 ci sono stati 11 suicidi, mentre l’anno prima 52. Episodi di autolesionismo, invece, accadono ogni giorno.

Le condizioni di vita nelle carceri italiani, che penalizzano e cancellano qualsiasi dignità, ci portano a chiederci se esistano altre possibilità che tengano conto dell’individuo e della sua rispettabilità. Luoghi in cui non conta il reato, ma la volontà del detenuto di riscattarsi; un posto in cui non si rischia di morire, ma dove l’individuo ha la possibilità di ricostruirsi una propria vita; luoghi in cui non manca l’acqua, non manca il respiro, ma dove i detenuti sognano di entrare.

Esiste un′alternativa?

Questo carcere esiste e si trova in Norvegia, nell’isola di Bastøy, a 75 chilometri da Oslo. I detenuti, dopo che hanno scontato la maggior parte della loro pena e scritto una lettera motivazionale, possono passare gli ultimi cinque anni della loro detenzione nell′isola. E proprio come dovrebbe accadere in ogni carcere, non appena messo piede sull’isola, il reato e la sua gravità non contano più, il passato è lasciato alle spalle. Solo il presente conta, solo il futuro: Non posso fare nulla per quello che sono stato e per ciò che ho commesso, ma posso fare qualcosa per quello che sono e che sarò domani rivela uno dei detenuti sull’isola.

Cos′è Bastøy?
Visione dall′alto dell′isola di Bastøy

Nel carcere di Bastøy ci sono 115 detenuti, su un totale di 3.872 detenuti in tutta la Norvegia. La prima differenza rispetto alle carceri italiane, oltre al minor numero di detenuti, è il costo e l’utilizzo dei soldi: il prezzo della struttura ammonta pressappoco a 8 milioni di euro l’anno su un investimento totale di circa 2 miliardi. L’Italia, invece, ne spende 3 milioni, ma di detenuti ne ha più di 53mila.

A prima vista, sembra un piccolo e normale paese: un visitatore potrebbe ritrovarsi all’interno di una piccola comunità e non rendersi conto di essere dentro a un carcere. Case, botteghe, una ricca vegetazione e numerosi campi coltivati caratterizzano il luogo. Ma se è un carcere cos’è tutto questo? Potrebbe domandarsi l’ospite.

In primis, Bastøy è una prigione ecologica: la terra dell’isola viene lavorata dai detenuti stessi e i rifiuti riutilizzati. Altri si prendono cura del bestiame, mucche, pecore, agnelli e cavalli.  Questi sono solo alcuni degli esempi dei lavori che qui vengono svolti, degli impieghi assolutamente normali per il quieto vivere sull′isola. E non solo c’è chi lavora la terra: dalla guida della barca alla cucina, dai negozi all’equipe tecnica, i detenuti riescono a guadagnare il necessario per potersi concedere qualche extra. Ogni detenuto viene pagato 8 euro per turno, a cui si sommano 24 euro a settimana da poter spendere per i pasti e qualche chiamata nelle cabine telefoniche dell’isola. Alcuni di loro colgono l’occasione della loro reclusione per studiare e hanno la possibilità di compiere e terminare lì i loro percorsi di studi.

Privilegio o possibilità?
Appartamento del carcere di Bastoy
Appartamento del carcere

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Il privilegio, qui, non sta semplicemente nell’avere per sé un’isola senza sbarre. La libertà non significa otium, ma ad ognuno spetta dare il proprio contributo. Ma tra il lavoro e gli studi, lo sguardo di Bastøy è sempre in avanti, verso il futuro. La filosofia alla base, al momento della creazione di questo carcere di minima sicurezza, spiega Marianne Vollan, direttrice del servizio correzionale norvegese, era quella di trovare un modo di ridurre la probabilità che il detenuto ritornasse a compiere un altro reato. Si tratta di porre l’attenzione sull’uomo, sulla sua personalità, permettendogli di riabilitare la sua posizione sociale nel mondo. A tal fine, si è cercato di ricreare un ambiente il più simile possibile alla vita quotidiana del “di fuori”. A Bastøy sembra non mancare nulla, solo una cosa: la privazione della libertà.

Centralità, umanità, dignità e futuro

Due sono i concetti che sembrano al centro della filosofia di Bastøy: la centralità della persona e la sua umanità.

Nel discorso al Parlamento Europeo di Strasburgo, tenutosi il 25 novembre 2014, Papa Francesco ha sottolineato temi di grande rilevanza: la dignità e la trascendenza dell’uomo messe a rischio dalla sua strumentalizzazione e dall’emarginazione; il fraintendimento e l’abuso dei diritti umani quando non restano saldamente connessi al perseguimento del bene comune. Il Papa ha richiamato la dimensione dell’esistenza e ha ribadito la centralità della persona: l’uomo, per natura, riconosce la necessità di integrarsi e di collaborare con i propri simili. L’uomo ha il diritto e il dovere di svilupparsi come persona umana, in tutti gli aspetti sia individuali che collettivi.

L’umanità, invece, può ritrovarsi solamente là dove uguaglianza, dignità e solidarietà trovano pieno riconoscimento. L’umanità è declinata al futuro, è un qualcosa da costruire attraverso l’azione comune e solidale di una molteplicità di soggetti. Un’idea di umanità che, oggi, appare puramente astratta, a favore di comunità chiuse, sospette, volte solamente al perseguimento del bene individuale.

I due concetti si fanno portavoce di altrettanti elementi indispensabili, che ben definiscono quel piccolo paradiso terrestre che è Bastøy: dignità e futuro. È questo l’obiettivo dell’isola: “riabilitare e non castigare”, dando la possibilità ai detenuti di ricostruire il proprio futuro secondo quelli che sono i diritti fondamentali dell’uomo. Diritti che non dovrebbero essere messi in discussione neanche nel momento in cui qualcuno compia un reato. Diritti che si acquisiscono dalla nascita e che, come tali, devono essere garantiti e non penalizzati.

Solo un diritto manca: la libertà.

Come precedentemente accennato, un solo diritto viene meno: la libertà. Su questo ci vengono in aiuto la legge e il filosofo Kant: nel momento stesso che l’uomo compie un’azione in virtù della propria libertà, essa necessariamente rientra nell’ambito della legalità e della moralità. Si tratta della necessità di agire in modo libero ma, come dice Kant, sotto l’impero categorico della ragione. Ciò permette alle singole volontà di potersi rapportare le une alle altre, ma sempre e comunque sotto la legge generale della libertà.

Dalla teoria della legalità deriva così il diritto di punire: attraverso la “punizione”, l’uomo sarà in grado di riconoscere i propri limiti e di divenire, in tal modo, giusto. La missione di cui parla Kant, e di cui Bastøy sembra farsi portavoce, consiste proprio nel prevenire e attuare una società civile che faccia valere universalmente il diritto e la ragione. Una società libera, laddove il concetto di libertà non è più solamente un diritto, ma anche un dovere, volto al benessere della società.

I 115 detenuti di Bastøy non sono liberi, dal momento che hanno violato la legge e di conseguenza il diritto stesso della libertà. La soluzione, però, non risiede nel castigo e nella negazione della loro centralità, umanità e dignità. Risiede nella possibilità di garantire una seconda chance al loro futuro; non importa chi sono stati e cosa hanno fatto, ma la loro volontà di diventare persone migliori e di ritornare in una società che non faccia prevalere l’emarginazione e la discriminazione, ma che dia valore a quelle singole individualità.

Bastøy come modello da seguire

Bastøy è dunque un modello da seguire, un carcere senza sbarre dove si sogna di entrare e che pone l’accento su quei diritti che il resto dell’Europa sembra invece lasciare nell’angolo. Non è un caso, infatti, che l’84% di chi passa per Bastøy non infrangerà mai più la legge e che il tasso di recidiva, secondo il Krus, istituto norvegese di ricerca in criminologia, è di appena il 16%. Percentuale nettamente inferiore rispetto al resto dell’Europa, che vede il 75% e dell’America, che sfiora l’80%.

Afferma Tom Eberhardt, direttore del carcere di Bastøy: «Noi siamo qui per formare dei cittadini, dei vicini di casa. Un giorno queste persone usciranno di prigione e saranno libere. Tu chi vorresti come ipotetico vicino di casa, nel tuo futuro, per te e la tua famiglia? Un uomo ristabilito e reintegrato nella società oppure un uomo ancora malato, arrabbiato, che è stato richiuso per anni in condizioni incivili?»


FONTI

StudentiGiurisprudenza.it

Ilmantellodellagiustizia.it

Temi.Repubblica.it

Diritto.it

Corriere.it

Osservatoriodiritti.it

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