Conforto, prostituzione forzata in Giappone, parte seconda

Nonostante la violazione di numerosi diritti umani, prostituzione forzata e stupro sistematico, il Giappone sino ad oggi si dichiara non responsabile di quanto accaduto. Questo capitolo estremamente buio della loro storia non venne adeguatamente portato all’attenzione dalle potenze internazionali alla fine del conflitto. Il motivo sembra essere, ancora una volta, la gerarchia razziale che caratterizzava la società post-bellica. Il mondo Occidentale non si preoccupò, infatti, di condannare i responsabili delle atrocità commesse nei confronti delle popolazioni Asiatiche.

Gerarchie

Le discriminazioni furono particolarmente evidenti nella mancanza di soddisfazione per i crimini commessi. Il Tribunale Militare di Batavia, nel 1948, tenne l’unico processo conclusosi con la condanna degli ufficiali giapponesi coinvolti nella coercizione, nelle violenze e nella schiavitù sessuale di giovani donne. Le vittime, trentacinque donne olandesi provenienti dall’odierna Indonesia, ottennero giustizia. Il processo non aveva tuttavia tenuto conto delle centinaia di migliaia di donne Indonesiane allo stesso modo costrette all’interno del sistema delle Comfort Station.

Le atrocità perpetrate nei confronti delle Comfort Women non vennero sanzionate nemmeno dai tribunali dell’Estremo Oriente, nessuno venne accusato di crimini contro l’umanità. L’Imperatore stesso venne dichiarato innocente e scaricato di ogni responsabilità all’interno della vicenda dal Tribunale Militare del Far East. Il secondo Processo di Tokyo, nel 1948, lo vide invece come responsabile, in quanto Comandante Supremo della Marina e dell’Esercito, dei crimini commessi da coloro che gli erano subordinati. Questo secondo processo non aveva tuttavia alcun valore legale, i responsabili quindi, non vennero condannati.

L’atteggiamento di noncuranza si acuì sicuramente dalla reazione stessa del Giappone. Mentre il governo era stato in grado di fornire come soluzione il sistema delle Comfort Women, era certamente consapevole del fatto che esso avrebbe costituito, alla fine della guerra, agli occhi degli Alleati, un crimine. Si ordinò così la distruzione di documenti relativi all’istituzione delle Comfort Station; conseguentemente le poche testimonianze di queste crudeltà sono le donne stesse.

Asian Women’s Fund

Nei primi anni Novanta tre donne coreane, presero coraggio e raccontarono l’orrore vissuto. Il mondo era oltraggiato e pretendeva giustizia. Nel 1991 intentarono una causa contro il Governo giapponese per violazione dei diritti umani. Il processo, sfortunatamente, non vide la condanna dei responsabili e, nuovamente, il Giappone negò qualsiasi coinvolgimento nella vicenda.

Solo nel 1993, con la scoperta di alcuni documenti incriminanti, Yohei Kono, Segretario del Governo, ammise il coinvolgimento indiretto delle forze militari giapponesi nell’istituzione delle Comfort Station. Nonostante l’ammissione parziale di colpa da parte del Giappone non vi furono nient’altro che delle scuse.

La nascita del fondo

Il fallimentare tentativo di ammenda iniziò nel Giugno del 1995 quando il Governo istituì un fondo di circa trecentomila yen, l’Asian Women’s Fund, come compensazione per quanto accaduto. L’Asian Women’s Fund non era in nessun modo, tuttavia, una presa di coscienza da parte del Governo giapponese. Moltissime vittime hanno rinunciato alla somma poiché è giustizia quella che chiedono, non carità. Numerosissimi furono i tentativi compiuti da queste donne per essere ascoltate, quasi tutti vani. Volta dopo volta rigettavano i loro appelli, le loro accuse riecheggiavano tra le pareti delle aule di tribunale, senza nessuno che potesse ascoltare il grido di giustizia delle vittime.

Il fondo cessò di esistere ufficialmente nel 2007. Da allora numerose dichiarazioni hanno scosso l’opinione pubblica. Nonostante la promessa fatta da Kono di introdurre nella storia nazionale questo periodo torbido ed interpretarlo come “una preziosa lezione di storia”, nulla è cambiato. Numerosi politici hanno negato ogni implicazione del Giappone, rilasciando interviste dai toni piuttosto aspri e scettici nei confronti delle Comfort Women.

La giustificazione dell’accaduto

Ad oltraggiare il panorama internazionale fu, nel 2013, la dichiarazione, durante una conferenza stampa all’Osaka City Hall, di Osaka Turo Hashimoto, celebre figura chiave all’interno del Governo. Sostenne infatti la necessità, l’impellenza di un’istituzione barbara e disumana poiché “quando i soldati rischiano la propria vita sul campo di battaglia, in una pioggia di proiettili” la schiavitù sessuale e lo stupro possono essere giustificati.

Queste donne, a distanza di circa mezzo secolo, hanno dimostrato una resilienza ed un coraggio impareggiabili. È fondamentale che si faccia giustizia, che le brutalità delle quali sono state vittime siano un chiaro segnale di allarme, una tragedia che solo collettivamente si può superare. Che tutte le democrazie facciano ciò che è in loro potere, che questo orrore si ricordi degnamente e che mai più si ripeta.

 

Fonti:

japantimes.co.jp

wam-peace.org

awf.or.jp


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