Intersezionalità e radicalizzazione: le due facce del femminismo

All inequality is not created equal.

Il concetto di intersezionalità, in epoca contemporanea, affonda le proprie radici negli anni Sessanta e Settanta del Novecento. Sviluppatosi grazie ad attiviste anti-racism, come Anna Julie Cooper e Sojourner Truth, che, ponendo in relazione razza e genere, sollevarono la problematica della presenza di molteplici identità sociali in un solo individuo. La maternità si deve tuttavia alla professoressa Kimberlè Crenshaw. Per la prima volta, nel 1989, fece uso della parola intersezionalità con rifermento al fenomeno di intersezione delle diverse caratteristiche individuali, quali: razza, classe, genere, orientamento sessuale, credo religioso e di come esse interagiscano tra loro, si sovrappongano e come possano essere origine di oppressione e discriminazione.   

Femminismo intersezionale 

Il dibattito sull’intersezionalità ha interessato numerosi movimenti. Fautore dell’intersezionalità è sicuramente l’ala più inclusiva del femminismo. Il femminismo intersezionale, infatti, si propone di battersi per i diritti di tutte le donne con la consapevolezza delle diverse identità sociali che esse possono rappresentare. Definito dalla Crenshaw come “un prisma che permette di vedere i modi nei quali le diverse forme di disuguaglianza spesso operano insieme e si esacerbano vicendevolmente”. L’utilizzo di questo prisma permette inoltre di poter identificare la componente storica che caratterizza una tipologia di oppressione, come per esempio quella legata all’etnia. Storie secolari di violenze e discriminazione, sia sistemica che sistematica, hanno portato alla creazione di pattern di disuguaglianze spesso incolmabili. Esse possono interagire tra di loro concorrendo alla negazione di pari diritti e opportunità per l’individuo. Va certamente sottolineato che questo tipo di discriminazione diventa un triste retaggio familiare, tramandato di generazione in generazione, e uscirne è spesso molto complesso.   

White feminism  

White feminism o femminismo bianco, definito dalla giornalista Rachel Elizabeth Cargle nel suo articolo per «Harper’s Bazaar» come suprematismo bianco coi tacchi, è l’antitesi di tutto ciò che l’intersezionalità si propone di essere. Si tratta di un’ideologia longeva, una costante nella storia del femminismo. Il white feminism, considerato di stampo liberale, è socialmente accettato, apparentemente moderato, appetibile. Non ha infatti lo scopo di alterare in alcun modo il sistema all’origine dell’oppressione femminile, la società, ma di raggiungere un’uguaglianza fittizia all’interno della stessa. Questo, tuttavia, è possibile solo se, come le esponenti di questa corrente, si è donne bianche cisgender, medio-borghesi, attraverso l’emarginazione e lo sfruttamento di altre donne. Parte della quarta ondata femminista, esso si allinea con la narrativa di tipo capitalistico e si esonera da qualsiasi critica di oppressione di tipo razziale, di classe o eteronormativa e trae vantaggio da un sistema che continua a perpetrare questo tipo di discriminazione.  

Femminismo radicale 

L’ideologia femminista si è tuttavia evoluta nel corso del tempo dando origine a frange fortemente radicali del movimento. Il femminismo radicale, tuttavia, lo è solo di nome. Va infatti inteso come alla radice, non come aggettivo sinonimo di estremo. Concentrandosi soprattutto sul conflitto tra i ruoli maschili e femminili, ponendo uomini e donne in una dinamica di oppressore e oppresso, si propone di porre fine alla subordinazione femminile. All’interno dell’ala radicale si è però sviluppata una corrente secondaria: le TERF. Acronimo di Trans-exclusionary Radical Feminist, indica l’ideologia secondo la quale le donne transgender, transex e T vadano escluse dalle dinamiche femministe poiché non nate biologicamente donne. Nata negli anni Settanta, questa cerchia estremista e violenta, si rese tristemente nota per numerose minacce a donne transgender che osassero occupare spazi femminili all’interno del movimento. Manifesto del pensiero TERF è sicuramente lo scritto a opera di Janice Raymond, pubblicato nel 1979. Transsexual Empire, testo esplicitamente transfobico e transmisogino, dipinge la transessualità come una farsa, uno scimmiottamento della donna vera. Invalidando l’identità femminile transgender ridotta a una costruzione, “un pastiche di donna, ovvero la donna secondo il potere patriarcale”. 

SWERF 

Un’altra frangia radicale del femminismo sono le SWERF, Sex Worker Exclusionary Radical Feminist. Impegnate nell’esclusione di tutte le donne che prendano volontariamente parte a qualsiasi forma di prostituzione o sex work. Termine coniato nei primi anni 2000, vede nella prostituzione volontaria, inclusa la pornografia e altre attività, lo sfruttamento da parte della società del corpo femminile. Conseguentemente tutte le lavoratrici, secondo l’ideologia SWERF, contribuirebbero ad alimentare un’industria immorale e abusiva. Affermano infatti che la partecipazione volontaria sia un vero e proprio paradosso, che non vi sia alcuna differenza tra partecipazione consenziente e la coercizione o la prostituzione forzata.  

Da sempre il femminismo si è battuto per l’uguaglianza, non la supremazia di uno dei due sessi. L’intersezionalità è prerogativa cruciale e necessaria del femminismo contemporaneo, caratteristica che vada di pari passo con una sempre più inclusiva coscienza sociale.  

 

Fonti:

vox.com

vox.com

harpersbazaar.com

arcigay.it


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