La diffusione dei social network
Alla radice del cyberbullismo c’è il monopolio dei social network. Negli ultimi decenni, essi ci hanno completamente stravolto la vita e ormai qualsiasi persona che conosciamo è iscritta ad almeno una delle piattaforme social in voga. Basta aprire Instagram, siamo sommersi da fotografie di vario tipo, spesso pubblicate da persone che conosciamo anche nella realtà.
Siamo sempre capaci di connetterci con chi vogliamo, in qualsiasi momento. Sappiamo sempre cosa fanno i nostri amici, le persone che ammiriamo e anche chi magari non sopportiamo. Inoltre, pubblicando una foto oppure un post, abbiamo un feedback immediato. Sappiamo all’istante a chi il nostro contenuto è piaciuto.
Questa libertà di espressione quasi assoluta ha però bisogno di norme e di regolamentazione. Molte delle opinioni che esprimiamo dietro alla tastiera di uno smartphone o di un computer non sarebbero così esplicite se le esprimessimo faccia a faccia. Ci sentiamo quasi giustificati a rendere pubblico qualsiasi tipo di opinione, sia in negativo che in positivo.
Il fenomeno del cyberbullismo
Ed è qui che scaturisce la facilità con cui sui social vengono digitati insulti di ogni tipologia. Essi sono rivolti a nomi che conosciamo solo perché famosi oppure a persone che conosciamo fisicamente e che odiamo per qualche motivo. Questo fenomeno prende il nome di Cyberbullismo. La definizione di Treccani a riguardo è questa: “Bullismo virtuale, compiuto mediante la rete telematica”.
Si tratta di un concetto relativamente nuovo, che unisce tutta la cattiveria e la pressione psicologica del bullismo con la facilità e la rapidità di condivisione dei social network. La vittima di cyberbullismo si trova costantemente chiamata in causa. Deve leggere insulti rivolti alla sua persona tutto il giorno, su pagine accessibili a chiunque. Il fenomeno non è limitato ad un contesto, come spesso in passato è stato quello scolastico. I bulli in rete si moltiplicano, creano catene e tutto si amplifica.
La legge sul cyberbullismo
Il fenomeno è ormai dilagante e colpisce molto spesso giovani che non hanno la forza di ignorare ciò che sono costretti a subire. Spesso i bulli colpiscono persone fragili, allo scopo di farsi gioco di questa fragilità. In Italia per anni si è combattuto affinché ci fosse una legislazione a riguardo. La Legge 29 maggio 2017 è dedicata a questa piaga sociale. Cerca di contrastare, infatti, il fenomeno del cyberbullismo. L’obiettivo può essere raggiunto tramite fenomeni di prevenzione. Bisogna fare pressione verso le istituzioni e le famiglie, affinché educhino i giovani alla buona condotta sulle piattaforme online.
La legge, inoltre, permette alle vittime di richiedere la rimozione dei contenuti che le riguardano, tramite richiesta diretta rivolta ai vari siti internet. Dal punto di vista penale per chi attua questo tipo di bullismo, il discorso si fa maggiormente delicato. Infatti, spesso si tratta di minori ed il discorso penale può collegarsi al reato di diffamazione.
I casi di cyberbullismo maggiormente evocativi
Purtroppo, il fenomeno del cyberbullismo è penetrato nella società contemporanea e nella cronaca internazionale. Sono numerosi i casi di vicende evocative. Tra di esse, c’è la storia di Amanda Todd. La sua vicenda ha fatto il giro del mondo e ci fa rendere conto di quanta sofferenza possa provocare una violenza psicologica di questo tipo.
La morte di Amanda Todd
Amanda si è tolta la vita nel 2012, quando aveva 15 anni. Frequentando una chat, decise di mandare una sua foto intima a un ragazzo conosciuto online. Da quel momento in poi, questo ragazzo cominciò a ricattarla. Mesi dopo, la foto in questione venne divulgata online.
Nonostante la decisione della famiglia della ragazza di trasferirsi in un’altra città, la vicenda continuò a perseguitarla. A seguito di un altro episodio, in cui un ragazzo le chiese di avere rapporti sessuali per poi aggredirla, Amanda tentò il suicidio. Dopo un lungo periodo difficile, la ragazza decise di pubblicare un video su YouTube, poi diventato virale, in cui spiegava la sua situazione. Successivamente si tolse la vita.
Il caso di Carolina
Una vicenda che ha mobilitato l’opinione pubblica italiana è sicuramente quello di Carolina Picchio. La sua storia, nonostante sia terribile e piena di sofferenza, rappresenta una luce di speranza, per quanto riguarda la legislazione sul cyberbullismo. Infatti, il suo è stato il primo caso italiano riguardante proprio il cyberbullismo ad essere sottoposto a processo. Ci troviamo nel 2013, e Carolina si trova a dover fare i conti con un video. In questo filmato si vede la giovane priva di conoscenza a causa degli alcolici. Alcuni ragazzi simulano atti sessuali sul suo corpo e il video fa il giro del web.
Questo video segna l’inizio degli insulti e delle umiliazioni. Perciò Carolina decide di buttarsi dalla finestra della sua camera e di farla finita. È stata poi ritrovata una sua lettera, in cui incolpava le persone che l’hanno insultata e in cui scrive, nero su bianco, che le parole certe volte fanno più male del dolore fisico. Il padre di Carolina ha poi lottato per far approvare la legge sul cyberbullismo, arrivata nel 2017.
Il peso delle parole
Le ultime parole di Carolina devono servire da messaggio di ammonimento. Ciò che voleva trasmettere è chiaro: bisogna dare importanza alle parole che si dicono oppure che si digitano. Un qualsiasi insulto, scritto perché spinti dall’impulsività, può recare danni immensi. Bisogna educarsi all’uso delle piattaforme online e rendersi conto dell’impatto che ciò che pubblichiamo può avere.
Nessuno merita di essere vittima di bullismo, sia che esso si verifichi a scuola, sia che si verifichi in qualsiasi altro contesto. Anche i personaggi famosi, ad esempio, sono soggetti a continui insulti per il lavoro che fanno, o semplicemente per la loro notorietà. Nonostante abbiano scelto di essere personaggi pubblici, nessuno deve sentirsi giustificato ad offendere una persona. La libertà di espressione personale finisce nel momento in cui si reca danno a qualcun altro.
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