Cos’è il decostruzionismo?
Soggetto-verbo-oggetto.
Fonema-morfema-sintagma-frase.
Segno-significante-significato.
Definire il decostruzionismo è contrario alla sua logica e alla sua natura, ossia quella destabilizzante, anarchica e anti-strutturale.
Alla domanda: “Che cos’è la decostruzione?” la risposta data da Jacques Derrida fu “Che cosa non è la decostruzione? Tutto! O forse niente!”.
Introduzione
Silurare gli schemi precostituiti, abbandonare le retoriche e i tradizionali pattern comunicativi, disunire i legami tra parole, scindere il significante dal significato. Questa è stata la proposta derridiana.
Citando l’enciclopedia Treccani:
Se ogni segno è ciò che è perché non è nessuno di tutti gli altri segni che costituiscono quel linguaggio, ogni segno non può che rimandare a un’infinita catena di altri segni. Si pensi a ciò che avviene quando si consulta un dizionario: per qualunque termine del quale si voglia conoscere il significato ci vengono offerti una serie di altri termini per verificare i quali si dovrà consultare altre definizioni, e così via, in un processo potenzialmente infinito.
In parole povere – e più comprensibili ai non addetti ai lavori – bisognerebbe evitare di catalogare e correlare ogni parola, verbo, aggettivo a una categoria di pensiero, a un modo di dire. Bisognerebbe incoraggiare l’indecisione.
Ogni unità linguistica possiede migliaia di possibili sensi se combinata ad altre unità, e da sola non è né bene né male, è tutto e niente. Questa idea di disarticolare il testo è la chiave, il modus operandi, che sostiene il decostruzionismo.
E come ogni grande branca della conoscenza che si rispetti, al pari della matematica, filosofia, arti figurative ecc., la linguistica – e di conseguenza il decostruzionismo – è presente in ogni istante, secondo e azione delle nostre vite.
Strumentalizzare, discernere, invertire il senso di un’argomentazione, attuare tecniche volte ad attrarre verso le proprie tesi la “ragione” di un discorso. Tutto ciò, è, non è o potrebbe essere o non essere, decostruzionismo.
Definire, modellare, invertire la coerenza di un termine senza valutare il contesto in cui si applica, cioè la parafrasi di quanto definito precedentemente, sono comportamenti, strategie comunicative che tutti noi attuiamo inconsciamente al giorno d’oggi.
Il decostruzionismo nella comunicazione odierna
[https://www.youtube.com/watch?v=bffmZb1BLSE]
Tutto ciò, tuttavia, va a discapito della cosiddetta “comunicazione trasparente“. Si tratta del modo con cui siamo sempre stati abituati, fin da piccoli, tramite percorsi scolastici (quindi culturali ed educativi), a intendere e recepire un messaggio.
Cambiando il soggetto con cui si comunica (il segno) cambia il modo di recepirlo (il significante) e di conseguenza ciò che viene capito dal ricevente (il significato).
Inoltre, stravolgere un messaggio non lo rende più decostruito, bensì incomprensibile.
Come in qualsiasi apparato organizzato l’eccesso di anarchia genera caos. E il caos, in questo caso, è il frutto d’incomprensione.
Se recepisco male ciò che mi viene detto, poiché mal detto o acutizzato dai toni oppure volutamente manipolato, la mia risposta non può che essere non attinente al tema in questione, alla linea comunicativa, quindi diversa, fuori contesto. Ed è così che il caos viene generato da altro caos.
Il linguaggio vive delle evoluzioni naturali nelle proprie strutture, conservando però degli schemi ben precisi e conosciuti e utilizzati dai parlanti. SVO, morfema-sintagma-frase e così via.
La versatilità è parte del suo DNA strutturale, ma ciò non significa che possa essere completamente stravolto.
Roland Barthes, Ludwig Wittgenstein sostenevano che il contesto fosse indispensabile per capire il significato di una parola e la parola indispensabile per sostenere il contesto, l‘uno senza l’altra sono vacui, e senza alcun valore.
Conclusioni
In conclusione, è opportuno sottolineare quanto filosofie come il decostruzionismo, strutturalismo, linguistica generativa ecc. non sono da reputare buone o cattive. Sono da valutare anch’esse in base al contesto e alle tematiche nelle quali sono inserite.
La natura delle parole è eterea, a differenza di quanto si pensi. Le parole possono, col trascorrere degli anni, assumere un’accezione diversa da quella d’origine nell’utilizzo dei parlanti, ma ciò riguarderebbe puramente la loro concezione antropomorfica.
Esse nascono dall’uomo ma non appartengono all’uomo, ma al loro ambiente, il contesto d’utilizzo.
Ciascun linguista, filosofo o professionista del linguaggio, nel corso della storia, ha contribuito tramite, tesi, proposte, e contraddizioni, a nutrire e alimentarne le teorie e di conseguenza la crescita degli studi linguistici.
A volte, nel fare questo discorso, mi sovviene in mente una immagine metaforica, forse banale, ma pur sempre mia.
Onde su onde scontrandosi ed accompagnandosi mutano le rocce, le modellano a seconda del loro ritmo e dell’intensità, definendone il corpo e l’identità.
Il tutto però, in buona fede.
Fonti:
Credits: