L’attivismo performativo: cosa si cela dietro gli schieramenti “social”

L’attivismo performativo è un fenomeno che sta dilagando notevolmente all’interno della società di oggi, ma in cosa consiste?

Definizioni

L’attivismo performativo è un fenomeno attuale che molto probabilmente la maggior parte delle persone avrà già incrociato lungo il proprio cammino. La nozione fa riferimento a un coinvolgimento attivo riguardo un movimento o un’ideologia, con la particolarità di farlo esclusivamente per interessi personali. In altre parole, si sostiene un movimento per avere un ritorno personale da questo tipo di azione, spesso senza appoggiarne pienamente la causa.

Con l’avvento della modernità e dei social, le persone hanno iniziato ad esprimere i propri ideali, innescando un processo che porta alla notorietà. Per esempio, sembra che basti postare un quadrato nero o elaborati che contengono un contenuto su uno sfondo arcobaleno e immediatamente si diventa attivisti di una causa qualunque.

I social aiutano ulteriormente l’essere umano, poiché si può diventare sostenitori di varie cause, tramite la molteplicità di intersezioni. Molto più semplicemente, si possono creare vari post molto diversi tra loro che però riescono a trovare terreno fertile sui social per dare sostengo a cause intersezionali.

Intersezionalità e algoritmi

Quindi, attraverso l’intersezionalità e l’uso degli algoritmi, si possono calcolare le percentuali di seguiti e di like che si possono guadagnare, creando post e condividendoli.

Attivismo collettivo e attivismo moderno

Un tempo, l’attivismo si faceva sulle piazze. Anche oggi questo fenomeno è molto sentito, soprattutto dalle generazioni zeta, ma i social promuovono ogni giorno forme di attivismo virtuale grazie ai post, sulla piazza virtuale si incontrano utenti di mezzo mondo che sono distanti anche molti chilometri.

La principale differenza con un passato che non è neanche troppo lontano, risiede proprio nel fatto che le lotte sono comunitarie, ma fino ad un certo punto. Infatti, ognuno declina in modo molto personale ciò per cui vuole combattere.

Nei contenuti social, i post sono tutti molto eterogenei tra loro. Su Instagram, così come su Facebook o Tiktok, sono tutti empatici: questo termine deriva dal greco ed indica letteralmente la capacità di provare dolore o sentimento assieme ad un’altra persona.

Risulta anche abbastanza scontato affermare che la maggior parte degli utenti vogliano risultare moralisti, spiegare cosa sia giusto e cosa sbagliato. È importante notare, però, che questo non avviene solamente nei confronti di cause come, ad esempio, la lotta al cambiamento climatico, la difesa dei diritti LGBTQI+ o il fenomeno del catcalling, ma riguarda ogni ragionamento o comportamento che si voglia manifestare sulle piattaforme digitali.

Influencer e community

Le influencer, ossia persone che in qualche modo riescono ad influenzare le mentalità e i ragionamenti delle persone, sono le prime vittime di un sistema tecnologico in cui bisogna sacrificare un po’ del proprio corpo, del proprio pensiero, della propria anima per essere accettati, ricevere notorietà e denaro e divenire, di conseguenza, attivisti.

La vita di tutti i giorni insegna che non è semplice indossare una maschera. Può succedere che una persona con una certa notorietà possa anche sbagliare e andare incontro a contraddizioni. Questo fenomeno è chiamato washing, si viene accusati di camuffarsi eticamente.

Se si dovesse inciampare accidentalmente in questo errore, ossia camuffarsi per finti attivisti ambientali, potremmo parlare di greenwashing o, nel caso delle lotte alle differenze di genere, di pinkwashing.

Il percorso di espiazione consiste nello sparire dai social, cancellare post e far finta che nulla sia successo. D’altro canto, le persone che scorrono lungo le storie degli altri utenti o che commentano negativamente i post, sono le stesse che pochi minuti dopo non ricordano ciò che abbiano visto o letto.

Pandemia e attivismo

L’attivismo performativo esiste da molto tempo, tuttavia durante la pandemia e le varie chiusure, le persone con una certa notorietà hanno avuto la possibilità di esprimere maggiormente le ideologie in voga in quel periodo, e ancora oggi.

Il caso Ferragnez

Un esempio di attivismo performativo è rappresentato proprio dai Ferragnez, la coppia formata da Chiara Ferragni e Fedez, che contano sui social milioni di seguaci. Ultimamente hanno iniziato a sostenere cause riguardo i diritti LGBT.

È importante notare che i Ferragnez rivolgono i loro discorsi alla generazione zeta, o almeno in parte, la generazione cresciuta coi social. Ma potremo mai sapere quanto sincere siano le loro battaglie e i loro discorsi?

Non è neanche lecito mettere in dubbio che il loro obiettivo sia appunto quello di aumentare il proprio numero seguaci e quindi la catena del marketing, guadagno di più: anche loro sono stati accusati di aver commesso washing, infatti.

In pochi ricorderanno che effettivamente qualche anno fa sono stati criticati lungamente, Chiara avesse organizzato una festa in un supermercato di Milano. Durante questo evento, in cui erano presenti molti personaggi famosi, i Ferragnez hanno iniziato a lanciarsi cibo e la festa si è trasformata presto in critica.

I commenti negativi sono spariti dopo un mese e ad oggi sono sostenitori di brand ecologici che sponsorizzano, partecipando a sfilate basate sul tema dell’ambiente.

Se da una parte però la nota influencer partecipa e sostiene l’ambiente, dall’altra parte partecipa anche a sfilate come quelle di Chanel, un marchio non sostenibile: in una sua sfilata un’attivista è stata presa di forza dalle guardie, colpevole di essersi infiltrata sulla passerella mostrando il proprio dissenso tramite un cartellone su cui era scritto “We are all fashion victims“.

Una cosa è certa: per quanto possa apparire trasparente il mondo social, non lo sarà mai del tutto. Una foto, un post o una storia su Instagram rimarranno sempre velati da ciò che non riusciamo pienamente a vedere e comprendere.


Fonti:

siamomine.com

treccani.it

Copertina:

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