Nel nostro Paese, gli italiani di seconda generazione, figli di genitori immigrati, sono una delle categorie meno tutelate. L’italianità di seconda generazione, strettamente intesa, fa riferimento, appunto, ai figli nati sul territorio italiano da genitori stranieri. È tuttavia opportuno tenere in considerazione, quando si parla di un fenomeno così complesso e articolato, anche di tutti i minori trasferitisi in Italia in età prescolare o prima del compimento dei diciotto anni. L’espressione stessa, immigrati di seconda generazione, venne definita, dalla geografa Camille Schmoll e dal sociologo Marzio Barbagli, fortemente contradditoria. Come può considerarsi un individuo immigrato nel Paese in cui è nato? Il termine sembra, infatti, voler porre l’accento sulle origini straniere o i tratti somatici dell’individuo, piuttosto che su altre caratteristiche biografiche.
I dati
Secondo i dati ISTAT, i minori di seconda generazione alla fine del 2012 erano 908.539. In sei anni, il fenomeno ha continuato a crescere con tendenza positiva sino ad arrivare, nel 2018, a 1 milione e 316 mila. Di questi, il 75% è nato in Italia e costituisce fino al 15% della popolazione minorile del nostro Paese. Il fenomeno migratorio del quale sono figli costituisce però, troppo spesso, un grandissimo ostacolo all’integrazione. L’integrazione problematica in Italia, e in numerosi Paesi europei e del Nord America, si concretizza a livello sociale con l’impossibilità per i giovani di seconda generazione di accedere a lavori altamente qualificati, con la discriminazione sistematica e l’intolleranza religiosa e culturale. A causa di un approccio da parte delle società riceventi, definito ansia da assimilazione, si è tentato in tutti i modi di arginare la presenza di questi giovani in quanto percepiti come possibile minaccia all’ordine sociale.
Ius Sanguinis
In Italia, la cittadinanza si ottiene per il principio dello ius sanguinis, il diritto di sangue trasmesso di genitori in figli, come recita l’art.1 della legge n. 91 del 5 febbraio 1992. Questa disposizione nacque per rafforzare e favorire la discendenza italiana all’estero, riducendo da cinque a tre anni il periodo di residenza in Italia necessaria per poter richiedere la cittadinanza. Al contrario, ha raddoppiato gli anni dopo i quali è possibile, per i cittadini extracomunitari, richiederla. I cittadini stranieri possono, infatti, presentare la domanda dopo almeno dieci anni di residenza sul territorio. Ha reso inoltre obbligatoria la residenza continuativa e legale nel Paese fino al compimento dei diciotto anni per le seconde generazioni, al fine di poter ottenere la cittadinanza. Per coloro i quali si trovano privi di qualunque cittadinanza, gli apolidi, sono necessari solo cinque anni, mentre per i cittadini comunitari quattro. È inoltre possibile acquisire la cittadinanza, dopo previa richiesta, in seguito al matrimonio con un cittadino italiano, se si risiede in Italia da almeno dodici mesi in presenza di figli o dopo ventiquattro mesi di residenza con il coniuge.
Ius Soli
In contrapposizione al principio dello ius sanguinis, vi è lo ius soli, per il quale la cittadinanza coincide con quella del Paese di nascita, indipendentemente dalla nazionalità dei genitori. Nel nostro Paese lo ius soli si applica solo in due casi eccezionali: per i bambini nati da genitori apolidi o impossibilitati a trasmettere la cittadinanza o quando l’individuo, figlio di ignoti, viene trovato sul suolo italiano.
La prima proposta per la riforma della legge sulla cittadinanza per i cittadini stranieri risale al 1999, mossa dalla ministra Livia Turco. Si proponeva di poter fare richiesta a soli cinque anni per i bambini nati in Italia, in modo da arginare problematiche di discriminazione già in età prescolare. La riforma non venne mai approvata e un secondo tentativo si ebbe nel 2006, arrestatosi poi a causa della vittoria del centro-destra nelle elezioni del 2008 e la forte politica anti-migratoria promossa dai partiti. Al 2009 risale la richiesta della riforma bipartisan della cittadinanza, bocciata tuttavia nel 2010. L’anno successivo, numerose associazioni aprirono una petizione con lo scopo di far arrivare in Parlamento una proposta di legge di iniziativa popolare atta a modificare la legge sulla cittadinanza. Con più di 200.000 firme venne depositata alla camera nel 2012.
Ius culturale
Approvata nel 2015, la modifica ha introdotto lo ius soli temperato e lo ius culturae. Il disegno di legge non prevede infatti lo ius soli in purezza. L’acquisizione della cittadinanza sarà quindi possibile per tutti i ragazzi nati in Italia da genitori stranieri, dei quali almeno uno in possesso del permesso di soggiorno permanente o del permesso di soggiorno europeo di lungo periodo. La domanda dovrà essere formulata prima del compimento dei diciotto anni, accompagnata da una dichiarazione di volontà da parte dei genitori o di chi ne fa le veci. Lo ius culturae, il diritto in base all’istruzione, prevede la possibilità per tutti i bambini nati o arrivati in Italia entro il compimento dei dodici anni, che hanno completato un ciclo di studi, di ottenere la cittadinanza. La richiesta può essere presentata da genitori legalmente residenti o dalla persona stessa entro due anni dal raggiungimento della maggiore età.
Al centro del dibattito tra le forze politiche, lo ius soli sembra essere la speranza per tutti quei ragazzi ai quali non viene riconosciuta l’italianità. Intrappolati in un dedalo burocratico per poter affermare la propria identità, continuano la loro battaglia scendendo in piazza. A causa della forte opposizione del centro-destra al dialogo, ancora una volta, i giovani di seconda generazione sembrano non essere riconosciuti dal loro stesso Stato.
Fonti:
Identità sospese tra due culture, Vittorio Lanutti, Franco Angeli Edizioni, 2014
Credits: