A volte i suoni sono più esplicativi delle parole: paf!
Lo schiaffo che Will Smith, l’ex principe di Bel Air, ha rivolto al comico Chris Rock ha ormai fatto il giro del mondo.
Un gesto, netto ma allo stesso tempo dubbioso, che nei pochi metri percorsi dalla poltrona al viso del presentatore, cela le insicurezze del suo protagonista, quasi assente e forse impegnato nel calcolare e immaginare i mille possibili scenari a conseguenza di quanto compiuto.
In molti si son chiesti cosa potesse significare questo gesto. Forse la cosa più importante di tutta la vicenda è che, in realtà, è parte di una situazione ben più ampia, che, come in una matrioska, è a sua volta parte, nonché dipendente, da ancora altre realtà interconnesse.
Cosa avrà pensato in quel momento?
A cosa avrà mai pensato Will Smith prima di sferrare uno schiaffo in mondovisione a uno degli show più seguiti al mondo? Anzi, avrà pensato?
Su questo non c’è dubbio, il gesto, per le dinamiche, può far pensare sia premeditato.
Immaginiamo soltanto di rallentare, istantaneizzare ogni espressione, gesto, centimetro percorso dall’attore americano in quei trenta secondi. Potremmo scoprire un universo.
Primo piano. Alla battuta, decisamente infelice di Chris Rock, le camere mostrano un Will sorridente e accondiscendente.
Espressione che muta del tutto, nel giro di pochi secondi, durante i quali la rabbia sembra prevalere quasi del tutto su di lui, conducendolo sul palco.
Da lì, i passi dell’attore, inizialmente decisi, calano d’intensità, diventando sempre più incerti, la sua concentrazione e tutte le sue energie in quel momento appartengono alla sua mente.
“Lo faccio oppure no?”
Un gesto meccanico, che in se detiene un misto tra paura e rabbia, incertezza e odio, uno schiaffone interdetto, ma pur sempre un gesto violento.
Il mondo è cambiato, Will Smith è cambiato.
Se Hollywood dovesse nei prossimi anni decidere di scrivere un corto o addirittura una pellicola su quanto appena descritto, il titolo “No way back” sarebbe senz’altro tra i papabili candidati scelti dagli sceneggiatori.
Difatti, chiunque tu sia dopo un’azione del genere, compiuta davanti a 15 milioni di spettatori live, non puoi far altro che continuare e finire ciò che hai iniziato.
Gli insulti non censurati dell’attore ad avallare le proprie motivazioni, saranno soltanto parte del climax discendente che ha avuto come massima quanto appena descritto.
Il resto, le motivazioni e le spiegazioni fornite, le conoscono tutti.
Ecco, dunque, la seconda domanda di questa disamina.
La violenza è una risposta?
Assolutamente sì.
Che si tratti un esempio positivo o meno, la violenza in quanto atto che ha un inizio e una fine, è di sicuro una risposta.
Entrando nel merito, prescindendo dalle valutazioni soggettive, possiamo sottolineare quanto, nel caso in questione, la stessa non abbia di certo giovato alla notorietà dell’attore.
Questo perché la violenza raramente ottiene consensi, perché avrebbe potuto lasciar scegliere alla sua metà le modalità e le scelte di risposta, ammesso che ne avesse intenzione.
E perché, in fondo, neanche lo stesso protagonista prima (durante e dopo) ha dimostrato accordo e convinzione su quanto stesse facendo.
Quel che è fatto, è stato fatto.
Le fazioni si sono schierate, i meme sono fluiti nel web, e la carovana dei media ha annotato anche quest’avvenimento sul suo calendario annuale.
Ci piacerebbe fare una riflessione un po’ diversa.
Al netto di quanto detto, c’è soltanto una cosa che è forse più preoccupante di quanto accaduto.
Ci riferiamo, qui, al concetto di agglomerazione o teoria dei primitivi.
Quella tendenza a generalizzare su tutte le sfaccettature, le emozioni, i tentennamenti di chiunque, a modo suo, commetta qualsiasi azione.
Ad esempio: un uomo che picchia un altro uomo = colpevole.
In realtà è l’atteggiamento sterile, freddo, che stampa giudizi e sentenze omettendo tutto il resto, quello è da condannare.
Una persona andrebbe valutata dalle sue azioni, e sua volta quest’ultime andrebbero valutate in base sue emozioni, che sono ben più che una e una soltanto.
Al netto di questo, seppur siamo tutti liberi di scegliere di generalizzare o tirarci fuori da questo meccanismo, il mondo procede ed emette la sua sentenza.
Will Smith è colpevole. La violenza non è mai una soluzione, semmai una risposta, appunto.
E quante risposte son state date, tante, tantissime. Molte più delle domande, o peggio, il più delle volte senza domande.