L’accesso agli studi in Italia

La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.

Ho deciso di partire dall’articolo 34 della nostra Costituzione per analizzare questo articolo semplicemente perché racchiude le basi e gli intenti del nostro Paese in merito alla scuola e all’istruzione in generale. Secondo il nostro ordinamento “è obbligatoria l’istruzione impartita per almeno 10 anni e riguarda la fascia di età compresa tra i 6 e i 16 anni”. Seguendo l’articolo osserviamo che che la Repubblica si impegna affinché gli studenti, o coloro che vorrebbero esserlo, possano effettivamente usufruire dei servizi di istruzione che offre lo Stato italiano. È davvero così? Hanno tutti la stessa possibilità e le stesse opportunità di accedere agli studi in Italia?

Accessibilità meritocratica

Diciamo che abbiamo diversi casi e non sempre l’articolo 34 è rispettato. Questo soprattutto quando parliamo di università. Pensiamo per esempio ai corsi a numero chiuso o a quelli con rette da capogiro. Rispettano effettivamente il principio della Costituzione? L’accesso ai corsi a numero limitato è appunto previsto per un determinato numero di studenti. Che il numero sia trecento o mille poco importa, il punto è che già qui vengono imposti dei paletti. O meglio, in questo caso non a tutti è consentito l’accesso a determinate tipologie di studi. Per esempio, medicina, architettura e altre lauree di professioni sanitarie. Vero è che in questo modo si presuppone di premiare maggiormente i più meritevoli e i più preparati e quindi di far valere il principio della meritocrazia.

Come anticipavo però, considerando questo esempio, viene meno la possibilità per tutti di partecipare a quel determinato corso. “Se non si passa la prima volta si può riprovarlo ogni anno” direte. Vero, ma non è questo il punto. Rimane comunque una sorta di inadempienza a quanto scritto nella Costituzione. Inadempienza nel senso che da una parte sussiste il problema del numero limitato e dall’altra rimane il fatto che ci sarà sempre una parte di individui che viene esclusa da determinati insegnamenti.

La Costituzione stessa definisce, nell’articolo 33, quello che stiamo analizzando: “È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale.” Questo significa che chiaramente non è illegale o immorale l’esistenza dei corsi a numero chiuso e quindi dei relativi test di selezione, ma anzi è messo nero su bianco.

È chiaro che la presenza di lauree a numero chiuso è dovuto a varie circostanze come evitare che un numero troppo elevato di iscritti possa pregiudicare la qualità dell’insegnamento rendendo forse il tutto troppo schematico. Oppure, dall’altro, si cerca di fare in modo che non ci sia un numero troppo elevato ed eccessivo di laureati rispetto alle effettive richieste del mercato del lavoro. Oppure anche per motivi logistici, perché in effetti non tutte le università posso sostenere materialmente e strutturalmente dei corsi con un numero altissimo di iscritti. “I vari” perché l’esistenza di corsi a numero chiuso è numerosa e legittima.

Accessibilità monetaria

E l’accesso dal punto di vista monetario? Le scuole di qualsiasi grado e le università sono da questo punto di vista accessibili a tutti?

Partiamo dal fatto che l’istruzione obbligatoria è gratuita per legge. E qui il problema in linea generale non si pone. In questo senso la scuola è fortunatamente accessibile a tutti. Più delicata è la questione del materiale scolastico, più precisamente dei libri che i ragazzi e le relative famiglie devono acquistare. Al riguardo si potrebbero far nascere una serie di discussioni.

Torniamo ancora una volta a concentrarci sulle università. Sappiamo bene che le rette e i vari pagamenti sono differenti da ateneo ad ateneo. Ragionevolmente sono diverse le iniziative a livello statale, regionale o comunale che consentono di incentivare e supportare gli studi a livello economico. Borse di studio, premi e sussidi vengo sempre elargiti ai meritevoli. Ma togliendo questi aiuti, visto che non tutti possono o riescono ad accedervi, come si comporta il nostro sistema?

Ovviamente l’importo delle rette è scaglionato in base ad una serie di fattori: dal proprio reddito o da altri tipi di entrate. In base a queste e altre caratteristiche i vari sportelli universitari indicheranno quale sarà l’ammontare della spesa. Che (in questo caso, a mio avviso, non possiamo tralasciare) si somma con le spese che la maggior parte degli studenti deve sostenere: Costi di trasporto, costi di alloggio, costi di mantenimento e acquisto di libri e altro materiale didattico. Anche per questi casi ci sono una serie di interventi statali e non che cercano di rendere meno pesante la spesa da affrontare, sia per gli studenti stessi che per le relative famiglie.

Se posso permettermi, non è sufficiente. Non basta per il semplice fatto che l’istruzione e l’educazione sono dei diritti universali di tutti e per tutti, perciò è necessario che ognuno di noi abbia a tutti gli effetti la possibilità di vedere questo diritto realizzato. Deve essere questo il focus dei dirigenti universitari e dei ministeri. Ad ora è un sogno anche solo pensare di avvicinarci a modelli come quelli scandinavi dove agli studenti non vengo applicate tasse e nonostante questo i servizi che vengono offerti sono sempre di alto e rinominato livello. L’istruzione è il caposaldo di tutte le società, perciò la sua accessibilità è importante per determinare la direzione futura del nostro sistema, soprattutto quello italiano.

 

Fonti:

senato.it


Credits:

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