L’hijab, tra oppressione e libertà

Cosa si intende per hijab? 

Spesso sentiamo parlare del termine hijab, ma concretamente cosa sta ad indicare? Il termine deriva dalla radice ḥ-j-b. Questo termine nella lingua araba indica l’atto di rendere non visibile, nascondendo e celando allo sguardo. Nel significato universale identifica una qualsiasi tipologia di barriera davanti a qualcuno o qualcosa.  

hijab

Questa parola viene usata anche nel resto del mondo quando sta a significare un oggetto in particolare: il velo che usano le donne di religione islamica per coprire parti del corpo, spesso il viso e i capelli.  

La differenza tra hijab, niqab e burqa 

L’hijab, che è semplicemente e generalmente il velo islamico, si diversifica da altre due tipologie di velo. Infatti, esiste il niqab, che va a coprire non solo il volto della donna, ma tutto il corpo. Si tratta della copertura completa, con solo gli occhi scoperti. Il burqa invece ha lo stesso significato di hijab, ma è il velo usato prevalentemente in Afghanistan e Pakistan. Il burqa non è legato a ragioni religiose, ma sociali.  

Quando nasce l’hijab e perché viene usato? 

L’hijab viene nominato per la prima volta nel Corano, il testo sacro dell’Islam. Nel testo si descrive questo velo come un simbolo di devozione a Dio. Gli uomini non dovevano guardare con desiderio donne diverse dalle proprie mogli. Proprio per questo, gli uomini dovevano abbassare il proprio sguardo, in segno di rispetto. Alle donne, invece, era consigliato di non mostrare molto, indossando un velo fino al petto. Questa regola valeva solamente all’esterno della propria abitazione. Le donne, infatti, anche oggi possono mostrarsi senza velo ai propri parenti e al marito.  

Le parole del Corano andrebbero in discordia quindi con il niqab, che va a coprire completamente tutto il corpo. Il niqab, infatti, viene considerato da molti una manifestazione delle correnti radicali. Nelle realtà meno fondamentaliste, le donne sono tenute a mantenere un certo decoro, ma indossano semplicemente un velo che copre la testa.  

Il velo è sinonimo di oppressione?  

Nonostante la pratica di indossare il velo sia confinata alle regioni di religione islamica, il dibattito sull’argomento ha interessato tutto il mondo. Ciò specialmente negli ultimi anni, a seguito dell’attentato terroristico alle Torri Gemelle e alla presa di potere da parte dei fondamentalisti islamici 

La paura del terrorismo e degli attacchi violenti ha monopolizzato le discussioni pubbliche. L’Islam è diventato (in modo sbagliato) sinonimo di sottomissione della donna. Si tende a generalizzare tutto, etichettando ogni persona di religione islamica come facente parte di un movimento fondamentalista.  

Ed è in questa discussione che rientra il discorso dell’hijab. L’Occidente giudica il velo come uno strumento di oppressione. Si vedono le donne che lo indossano come private delle proprie libertà individuali. Il discorso in questione è veramente molto ampio e va a toccare diverse tematiche.  

Generalizzare e ragionare per stereotipi non è mai l’atteggiamento giusto. C’è da dire che la discussione a riguardo è molto infuocata. C’è chi difende la libertà delle donne di scegliere se indossare il velo o meno e c’è chi invece boccia qualsiasi tipo di pensiero positivo a riguardo.  

Chi è pro hijab 

Se dovessimo rispondere a questa domanda, potremmo sicuramente inserire nella lista dei pro hijab gli uomini di religione islamica. Ma se dobbiamo dare la parola alle donne, il discorso cambia. Infatti, esse si dividono in chi appoggia il velo e chi lo vede come uno strumento di sottomissione.  

Esiste una giornata del velo islamico, festeggiata ogni primo febbraio. In questo giorno, le donne che aderiscono, indossano liberamente il velo, tramite una spontanea iniziativa. Questa manifestazione è stata creata allo scopo di ribadire come, per molte donne, questo capo d’abbigliamento sia una scelta, nel rispetto della religione che professano.  

Modest fashion 

Il Modest Fashion indica una tendenza del mondo della moda, ideata per andare incontro alle necessità delle donne islamiche. Si tratta di abiti appositamente creati per rispettare le norme religiose. I veli e gli abiti, pur sempre larghi e non succinti, vengono resi più colorati e vicini alle mode occidentali. Tantissimi grandi brand hanno cavalcato l’onda di questo fenomeno, tra cui Dolce e Gabbana e Nike 

Chi è contro la hijab? 

Se esiste una giornata pro hijab, ne esiste anche una contro. Si tratta nel No Hijab Day, ed è nato proprio in risposta alla manifestazione dei pro. Si tratta di donne che vogliono accendere i riflettori su ciò che molte donne vivono, nel momento in cui hanno il coraggio di affermare la loro volontà di non indossare il velo. Esse vengono costrette, giudicate e punite. Molto spesso finiscono in carcere se non si sottomettono.  

In Italia com’è la situazione?

In Italia sono stati molti gli esponenti politici e le associazioni che si sono schierati contro la pratica di indossare l’hijab. Le discussioni maggiori sono nate proprio quando si è capito che le donne musulmane, arrivando in Italia, continuavano ad usare il velo, continuando la tradizione del proprio paese.  

In Italia ci si è chiesti se fosse accettabile che esse andassero per strada coperte. C’è da dire che nella legislazione italiana non c’è nessun divieto affinché ciò non avvenga. L’unica normativa che potrebbe avere a che fare con la questione è quella che vieta qualsiasi tipologia di capo di vestiario che possa rendere difficile il riconoscimento personale.  

Ed è qui che entra in gioco il buon senso. Non è accettabile costringere una donna immigrata di religione islamica a togliersi il velo, solo perché si trova in un altro paese. Bisognerebbe, al contrario, comprendere e venire incontro alle tradizioni sociali e culturali degli altri. Se si vogliono aiutare le donne che si sentono oppresse da questa pratica, lo si può fare tramite opere di sensibilizzazione e tramite proteste mirate.  

 


Fonti:  

wikipedia.org

al-islam.org

controcampus.it

vanityfair.it

Credits: 

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