White savior complex: realtà o costruzione sociale?

Il complesso dell’uomo bianco dovrebbe ormai essere caduto in disuso da molti anni, eppure ci sono alcune frange della popolazione che hanno sviluppato un nuovo complesso psicologico e lo hanno esteriorizzato sotto diverse forme comportamentali.

Che cos’è il white savior complex?

Il white savior complex può assumere diversi connotati, e non è semplice definirlo.

Dunque, si può tradurre con “la narrazione dell‘uomo bianco” e indica l’inclinazione delle persone bianche ad aiutare coloro che sono considerati altri rispetto alla loro etnia e classe sociale.

Quindi, tendenzialmente si è davanti a una prospettiva di pregiudizio egoistico per cui si ritiene fondamentale e doveroso rendersi caritatevoli ed essere considerati benefattori da coloro che aiutano. Inoltre, questi atti “generosi” contribuiscono ad aumentare la propria autostima, anche in maniera inconscia.

L’Africa, ma anche altri paesi come ad esempio il Sud America, hanno alle spalle una storia fatta di povertà, schiavitù, prigionia e oppressione. L’Occidente, nei secoli, sembra aver sfruttato queste condizioni per attuare un comportamento paternalistico e compassionevole, oramai considerato alla stregua della normalità.

Secondo Damian Zame, della BBC, questo comportamento aumenta semplicemente il senso di dipendenza dei Paesi del continente nero, riferendoci in particolare all’Africa, legandoli in modo economico e culturale ai bianchi.

Cinema e narratore bianco

La narrazione del salvatore bianco è stata spesso ripresa dal cinema.

La cinematografia, infatti, rappresenta un mezzo tramite il quale il complesso dell’uomo bianco e la sua ideologia possano essere messi in luce attraverso la rappresentazione stessa di questo concetto.

Ad esempio, si può rappresentare, attraverso la televisione e i film, l‘ansia messianica: l’attesa del salvatore bianco in grado di elevare l‘uomo nero dalla povertà pregressa, e garantirgli la salvezza eterna.

Vip e foto

Il punto fondamentale che emerge, e che dunque ci porta a riflettere su questo argomento, consiste nel legame tra il white savior complex e il mondo delle celebrità: proprio nell’importanza che la società attribuisce alle persone influenti, i vip.

Questi, infatti, tendono spesso a finanziare anche economicamente il mondo in via di sviluppo. Sui social dilagano foto di personaggi influenti, anche della cultura, abbracciati a bambini africani e anche orientali.

Seppur l’intenzione positiva, questa può rivelarsi un’arma a doppio taglio. Il rischio è che dilaghi un’ideologia di minoranza, sostenuta dal pensiero occidentale riguardo proprio questo mondo: ovvero associare bontà, denaro e spirito compassionevole esclusivamente alla persona bianca.

Come decostruire la narrazione del white savior complex?

Si potrebbe pensare che per sfatare il mito dell’uomo bianco che porta salvezza e civiltà, sia necessario interrompere missioni umanitarie, di volontariato.

In realtà questo non è il corretto approccio, ovviamente, occorre invece aiutare e incentivare lo sviluppo di queste popolazioni ed in generale di coloro che sono più deboli e in condizioni di fragilità.

Quello che la società non comprende è, infatti, il fatto che si possa aiutare ma in un’ottica non compassionevole, bensì indipendentista.

L’aiuto dell’Occidente dovrebbe aiutare lo sviluppo di sistemi di output in grado di rendere autonomi coloro che non hanno gli strumenti necessari per uno sviluppo economico e culturale.

Pandemia e white savior complex

Durante la pandemia, i paesi meno abbienti, hanno sofferto la mancanza di accesso alle cure mediche e alle vaccinazioni. Tutto ciò si è tradotto in un rapporto immediato di servizi.

L’Occidente, infatti, ha provveduto a risolvere questi problemi nell’immediato, fornendo vaccinazioni e aiuti economici.

La Cina stessa ha inviato numerosi aiuti in campo economico e per quanto riguarda i vaccini.

Come afferma Smith, professoressa all’Università di Siracusa, si devono però creare delle barriere progettuali a lungo termine, e non solo nel breve.

Agire a breve termine, cercando di colmare temporaneamente le mancanze, non serve a nulla. Risulta essere un procedimento palliativo e non duraturo.

Il meccanismo con cui agiscono le ONG, l’Occidente, le persone influenti e filantrope, per lo sviluppo di coloro che necessitano di una mano, rappresenta in realtà il deficit che tiene in vita le potenze mondiali. Questo meccanismo, in realtà, non fa altro che procrastinare il problema senza realmente risolverlo definitivamente.

Come sui ponti non sono sufficienti i lavori di ripristino stagionali, così all’interno delle popolazioni più vulnerabili si devono istruire le persone ad essere autonome.

Solamente in questo modo si potranno vedere nei miglioramenti interni, affinché non si debba più dipendere dalla “madrepatria“, in un’ottica che tenga conto degli effetti che il colonialismo ha avuto sulla crescita di questi popoli.

Basta pensare al fatto che i francesi, durante il periodo della colonizzazione, insegnavano e istruivano gli indigeni del Quebec e dell’America del Nord a credere che i loro antenati fossero “i Galli”.

Distruggevano automaticamente la storia di questi popoli, proprio come oggi, in un’ottica di eterna dipendenza dalla madrepatria.

 


Fonti:

robadadonne.it

health.com

Credits

Copertina

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *