Radical Chic

Tra le varie specie che popolano la giungla selvaggia della Società Moderna, alcune sono davvero degne di una particolare curiosità. In un luogo imprecisato vicino ai cespugli in cui si nascondono in agguato i criptofasci  e le immense praterie dove scorrazzano i qualunquisti, sorgono degli attici macrobiotici ricolmi di kamut e arredati con poke al posto dei lampadari in cui scorrazza libera la specie di cui parleremo: i radical chic. Si tratta di essere sfuggenti benché numerosi. Si mimetizzano e possono essere distinguibili solo da un occhio molto allenato, da ad altre specie come gli hipster o i cantanti indie.

Le caratteristiche del radical chic

Il radical chic presenta delle caratteristiche molto precise che devono essere conosciute per poterlo studiare a fondo. Innanzitutto dobbiamo analizzare la denominazione della specie. “Radical Chic” rimanda infatti a due concetti antitetici. “Radical” richiama la radicalità politica degli ideali: il termine in Italia è stato monopolizzato da una corrente dei liberali, ma in generale significa intransigenza e si applica spesso a partiti e movimenti di sinistra. Chic, invece, porta la mente al lusso e agli agi della borghesia post-industriale che di sicuro poco ha a che fare con la succitata radicalità. Siamo dunque dinanzi a un ibrido, che i meno informati potrebbero chiamare ipocrita ma che noi, prendendo in prestito da Orwell il concetto di bipensiero, descriveremo solo come “complesso”.

L’ideolochic

Il Radical Chic ha delle caratteristiche ideologiche ben precise. Si autodefinisce sicuramente di sinistra “senza se e senza ma”. Sostiene che il PD “non è di sinistra” o “è formato solo da vecchie cariatidi della prima repubblica” ma ha votato Più Europa di Emma Bonino perché proponeva la legalizzazione della cannabis e facevano i meme dank sui social networks. Da ciò ne deriva che è anche super europeista, senza ovviamente avere la più pallida idea di come funzioni e cosa faccia l’Unione Europea. Ma ehi, ha una bandiera figa con le stelline e mi permette di scopare in Erasmus.

Impesta le storie Instagram con dichiarazioni drammatiche di vicinanza alla causa del momento, spesso condita da improbabili hashtag in inglese recanti lo slogan semplicista di turno. Il tutto viene prontamente dimenticato e ignorato circa 10 giorni dopo, ricalcando esattamente il relativo trend di mercato. Si professa contro ogni forma di discriminazione razziale, di genere e di orientamento sessuale ma si tiene ben lontano dalle fatiche della militanza per queste cause, preferendo dare il proprio decisivo contributo all’emancipazione universale mettendo un asterisco per formare il plurale neutro.

Negli ultimi anni si è scoperto anche un ambientalista di ferro. Vuole salvare il pianeta e potrebbe addirittura rinunciare al salmone nel Pokè per abbracciare il veganesimo. Salvo poi andare in viaggio spirituale in Thailandia con un volo aereo che emette tonnellate di CO2.

Marxisti per conto terzi

La cosa più interessante però rimane la sua posizione sui massimi sistemi, o come direbbe un radical chic sulla “struttura”, senza ben sapere cosa sia. Su questo c’è varietà, i radical chic più onesti si disinteressano di economia dando il proprio implicito appoggio al sistema vigente e va bene così. Altri però si avventurano nei meandri dell’anticapitalismo da salotto, professandosi addirittura Marxisti o comunisti.

Dal proprio palchetto improvvisato lanciano vaghi e imprecisati strali polemici contro un “sistema capitalistico” che talvolta assume delle caratteristiche morali antropomorfe. Una cosa che farebbe rivoltare nella tomba il povero Marx. Cosa ben più grave, essi non si accorgono che la loro intera esistenza, e il loro posizionamento nella “struttura” è inestricabilmente legato al modello di produzione capitalistico da cui traggono giovamento sfruttando inconsapevolmente chi lo subisce. In questa linea si inseriscono anche gli attacchi furibondi contro “i populisti” o “la gente ignorante” che portano a far sostenere loro mostruosità come il patentino di voto. La peggio borghesia reazionaria che fa il giro completo e torna con le Birkenstock al posto delle ghette.

I dolori del giovane radical

Con uno sguardo meno giudicante (chi scrive non è esente da molte delle ipocrisie che ha descritto) possiamo provare a capire la filosofia del radical chic.

Possiamo dire che la tipologia di persone appena descritta si trovi in una crisi di identità sociale dovuta al passaggio da una società industriale con gruppi di appartenenza solidi e definiti, a una postindustriale in cui tutto è più confuso; ma non è questa la rubrica di Elzevirus per parlare di ciò.

Qui basta dire che ognuno di noi ha dentro di se una piccola pulsione di Radicalchicchismo, va capita, accolta e ridimensionata il più possibile. Perché il bisogno di apparire rivoluzionari coi guanti di seta è meno importante del cercare di essere operai del cambiamento.


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