Verificare e quantificare le conseguenze economiche del periodo che ognuno di noi sta sperimentando sulla propria pelle è impossibile, la crisi che stiamo vivendo adesso ci getta nell’incertezza. Concentrarsi sul futuro e farsi trovare pronti è l’unico modo che abbiamo per ripartire.
Ancora una volta, il quadro di ripresa non può essere tracciato egoisticamente in territorio nazionale, bensì internazionale: la partita economica deve essere coordinata e appoggiata a livello europeo, deve comportare una manovra ambiziosa e non egoisticamente limitata per poter essere incisiva e garantire gli effetti sperati.
Facciamo una premessa:
La proposta più ambiziosa che circola in questi giorni è quella degli Eurobond, uno strumento che consentirebbe la creazione di un nuovo titolo di debito pubblico il cui rimborso sarebbe garantito non solamente da un singolo paese, ma da tutti i paesi dell’Unione Europea.
Alcuni Stati – in particolare Italia, Francia e Spagna – e la stessa commissione europea sarebbero favorevoli a una soluzione del genere; tuttavia, è forte l’opposizione di Paesi come Germania, Olanda e alcuni nel nord Europa.
Gli strumenti del debito
Per capire meglio gli effetti che gli Eurobond avrebbero su tutti i Paesi, analizziamo gli strumenti del debito che ogni Stato ha a disposizione.
Tutti gli Stati non riescono a finanziare i servizi che erogano solamente con la riscossione delle tasse. La cifra mancante viene ottenuta tramite un prestito, emettendo dei titoli di Stato, ossia delle obbligazioni con cui il governo si impegna a pagare all’acquirente una determinata percentuale di interesse ogni anno e, allo scadere del titolo, a restituire la cifra. Da qui nasce il termine Eurobond: un titolo di Stato emesso e garantito dall’intera Unione Europea.
In generale, gli interessi che uno Stato paga sui propri titoli emessi variano in base alla sua stabilità e alla sua capacità di restituire la somma di denaro, quindi maggiore è considerata la solidità di uno Stato, minore saranno gli interessi che dovrà pagare.
Le banche centrali
Il sistema su cui si basa il meccanismo del debito dovrebbe in teoria riuscire a regolarsi autonomamente e quindi gli interessi sui titoli non dovrebbero mai diventare insostenibili per lo Stato che li emette, tuttavia, molto difficilmente questo avviene. In questo caso il rimedio è rappresentato, per i singoli Stati, dalle proprie banche centrali.
Queste hanno, almeno potenzialmente, la facoltà di creare denaro in modo illimitato e, così facendo, possono acquistare il numero di titoli di Stato necessari a creare un equilibrio sui tassi d’interesse degli stessi. Azioni che la Bank of England per l’Inghilterra e la BCE (Banca Centrale Europea) per l’eurozona hanno già fatto in passato.
Gli evidenti problemi derivati da questa situazione si sono fatti chiari con l’esplodere della crisi finanziaria del 2011, quando gli spread tra i vari singoli titoli di Stato iniziarono a esplodere e l’intervento della BCE, allora guidata da Mario Draghi, incontrò forte resistenza politica.
EUROBOND
Da quel momento si iniziò a parlare di Eurobond, un’idea semplice ma al contempo fondamentale per uno sviluppo europeo: perché avere titoli di Stato diversi per ogni Stato, quando si potrebbero avere titoli univoci e garantiti dall’intera zona euro?
D’altra parte, la moneta unica e la Banca centrale sono due istituzioni consolidate, il debito si sarebbe ridotto per molti Paesi e avrebbe svincolato risorse che sarebbero potute essere utilizzate in provvedimenti di ampio respiro.
L’ostruzionismo a questa proposta venne dal fatto che in questo modo alcuni Stati avrebbero potuto approfittare della nuova situazione per fare concorrenza sleale ad altri Paesi, per esempio diminuendo le imposte sulle imprese.
Di fatto, questi sono fatti già accaduti senza l’introduzione dell’Eurobond; FCA (ndr. Fiat Chrysler Automobiles) del resto non ha spostato la sede in Olanda proprio per pagare meno tasse al fisco italiano?
L’accordo europeo non prevede gli Eurobond
Gli Eurobond sono stati al centro del dibattito e molto probabilmente lo saranno anche nel prossimo futuro, visto che la sfida economica che l’Europa ha davanti non sarà semplice; tuttavia, nell’accordo che l’eurogruppo ha raggiunto nella notte del 9 Aprile 2020, questi non sono previsti.
Sono previste tre importanti misure: la prima prevede una cassa d’integrazione europea con una disponibilità fino a 100 miliardi di euro, la seconda vede la BEI (ndr. Banca Europea degli Investimenti) mettere a disposizione un fondo speciale di 200 miliardi, infine, il punto più importante prevede una disponibilità di 240 miliardi del MES (ndr. Meccanismo Europeo di Stabilità).
Quest’ultimo erogherebbe prestiti agli Stati in difficoltà con condizioni molto più morbide rispetto a quelle oggi in vigore, e le risorse messe a disposizioni potranno inoltre essere usate per le spese sanitarie e per i danni creati dalla pandemia di Coronavirus.
Deve essere chiaro che, se queste misure possono fare da tampone nel breve periodo, in quanto si basano su strumenti già esistenti e funzionanti, la proposta degli Eurobond non può essere lasciata indietro.
Forse in questo momento storico, che a partire dallo scoppio della crisi finanziaria del 2008 è più incerto che mai, bisogna pensare a rinnovare il motore europeo: l’accordo non deve finire e morire solo in ambito economico, ma potrebbe essere la spinta e il passo per costruire una realtà che oggi possiamo solo immaginare.
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