Vietato l’accesso ai bambini. Il fascismo sul mare dei porti chiusi alle ONG

Si chiama Faven, ha nove mesi. È lei che – in un video che ha fatto il giro dei media – viene raccolta da un giovane marinaio della guardia costiera, tra onde alte quattro metri e sotto un cielo pesante. Una storia, la sua, che ha sollevato una giusta ondata di empatia. Non è così per altre centinaia di bambini, rimasti per giorni sulla tolda delle navi di soccorso a cui il governo Italiano ha negato un approdo sicuro.

La Ocean Viking rimasta alla fonda tra Linosa e Malta, tra il 18 e il 29 ottobre, è un esempio. Alla Alan Kurdi della ONG Sea Eye, invece, era toccato attendere una settimana, fino al 2 novembre, prima che le condizioni meteo avverse la costringessero a entrare in acque territoriali e inducessero il governo italiano a concedere lo sbarco nel porto di Taranto. Nel frattempo, circa duecento persone in totale erano rimaste in balia degli elementi e della paura. Come era successo per quaranta ore alle cento persone salvate questa estate dalla nave Mare Jonio di Mediterranea, eloquentemente soprannominata in quell’occasione “la nave dei bambini”.

Sono infatti spessissimo bambini le persone salvate in mare. I dati UNICEF, OIM e UNHCR hanno contato settantamila minori non accompagnati sbarcati tra il 2014 e il 2018. Minori che i genitori hanno con strazio affidato al deserto prima e al mare poi, per dar loro una speranza di futuro. Un dato che prova a dare un’idea se non altro indicativa di quanti potrebbero essere i loro coetanei che non ce l’hanno fatta e di quanti potrebbero essere invece i bambini accompagnati, frutti degli stupri di scafisti e mercanti d’uomini o salvati dalla violenza dalla sorte o dai genitori che sono riusciti a portarli con sé. Bambini come Faven, accuditi da marinai che – ha raccontato Cecilia Sarti Strada, membro dell’equipaggio della Mare Jonio – improvvisamente si trovavano a trascorre il loro tempo a scaldare biberon, a centellinare le scorte di latte.
Bambini, vittime di fascismo. Perché oggi fascismo è creare un nemico contro cui scagliarsi, e chi arriva dal mare – quale che sia la sua età e la sua storia – è oggi il nemico preferito di molti.
E come nemici vengono trattati anche questi bambini e coloro che li hanno salvati. Le due navi di Mediterranea e diversi altri natanti di altre ONG sono infatti da mesi sotto sequestro per effetto dei cosiddetti Decreti Sicurezza, emanati dal governo M5S-Lega e ancora pienamente in vigore. È in questo mare vuoto che, solo il 23 novembre scorso, sono morti in decine.

Un vuoto nato non dalla scelta di pochi, ma da una retorica che identifica con precisione il nemico in questi marinai. Che chiama queste navi “taxi del mare”, che sostiene che le ONG siano quello che si definisce un “pull factor” delle migrazioni.
Fascismo è stato anche sostenere che la presenza delle ONG, e quindi il salvataggio di questi bambini, abbia contribuito a spingere alle migrazioni. Un’idea che si è di fatto istituzionalizzata fino a diventare legge.

Una retorica come quella del fascismo delle cose buone, delle cose giuste, che è stata smentita. Lo hanno fatto due ricercatori italiani, Eugenio Cusumano e Matteo Villa, per conto dello European University Institute. Analizzando cinque anni di sbarchi, si è confermato che non esiste relazione tra la presenza delle navi umanitarie e il numero di partenze dalla Libia. Lo studio, riportato da «La Repubblica», riferisce che le navi umanitarie hanno soccorso complessivamente 115.000 migranti su 650.000, con una media del 18%, la maggior parte nel 2016 e nel 2017, dopo la fine dell’operazione Mare Nostrum. Poi il codice di condotta nell’estate 2017 e il Decreto Sicurezza hanno condizionato pesantemente l’attività delle ONG. Quella delle ONG è quindi una goccia nel mare, che non riesce a svuotarlo ma non lo riempie di più.
Questo dicono gli studi a chi punta il dito contro coloro accusati di collaborare all’invasione di quell’altro che ha preso anche il volto di Faven.

Il volto di bambini pieni di sogni e di speranze, che portano le pagelle cucite nelle giacche come le bambine di settant’anni fa portavano i diari sotto i cappotti o gli appunti nelle valigie. Accusate come oggi di essere la radice del male di un paese intero quando non di un continente, consumandone risorse e possibilità. Bambini che oggi sono tolti dalle braccia dei marinai, per metterli davanti a porti e a centri di prima accoglienza pronti a ricordar loro che “qui non sono benvenuti”, come non lo erano le bambine, da Amsterdam a Roma, in certi negozi settant’anni fa.


FONTI:

Minori non accompagnati
Alan Kurdi
23 novembre
Repubblica

CREDITS:

Copertina

 

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