Birmania: uno Sguardo ai fatti per capire e comprendere la crisi

La notizia del golpe in Birmania è passata quasi in secondo piano. l’Italia ha dovuto fronteggiare una crisi di Governo e nel mondo intero infuria ancora il Covid-19. L’intera vicenda che riguarda il nuovo colpo di Stato è complessa, pertanto è necessario dare uno sguardo ai fatti per capire e comprendere la crisi birmana.

Una breve storia della Birmania

Nel Gennaio 1948 l’Inghilterra concesse l’indipendenza alla Birmania e i suoi vari territori si unirono in un’unione federale, l’Unione Birmana. L’Unione Birmana si inserì nelle complesse relazioni internazionali tanto da ottenere anche la Segreteria nazionale dell’ONU: il governo democratico sembrava abbastanza stabile.

Nel 1962, tredici anni dopo l’indipendenza, il generale Ne Win prese il potere con un colpo di Stato orchestrato dalle forze militari e l’Unione Birmana cessò di essere uno Stato democratico e federale. Il potere finì nelle mani di Ne Win e del suo nuovo partito il Burma Socialist Programme Party (BSPP) e il Paese fu vittima della repressione. Negli anni ’80 del secolo scorso, nonostante il regime militare, il malcontento della società civile aumentò vertiginosamente. La disastrosa situazione economica e l’assenza dei diritti umani produssero numerose proteste non violente organizzate dalla National League for Democracy (NLD), guidata da Aung San Suu Kyi.

Il regime militare, tuttavia, reagì con uccisioni e arresti di massa e questo portò a una riorganizzazione del potere dei militari, il BSPP venne abolito e il generale Saw Maung prese il potere con un colpo di Stato. Fu eliminato il monopartitismo, ma le elezioni che videro l’affermarsi dell’NLD vennero annullate. Nel 2007 la Birmania fu scossa da nuove proteste popolari che videro anche la partecipazione dei monaci buddisti e le nuove proteste portarono a una nuova costituzione nel 2009.

La svolta

Il percorso della Birmania verso la Democrazia, dopo l’approvazione della nuova Costituzione, è iniziato nel 2012. La leader delle proteste dell’NLD riuscì ad essere eletta in Parlamento, diventando il capo dell’opposizione al regime dei militari.

Nel 2015, le elezioni in Birmania furono nettamente vinte da Aung San Suu Kyi e il suo partito. L’unico problema era rappresentato dal fatto che la Costituzione vietava l’accesso alla carica di Presidente nel caso in cui si fosse contratto un matrimonio con un cittadino straniero: il marito della leader dell’NLD era infatti lo storico inglese Micheal Aris. Suu Kyi nominò quindi Htin Kyaw come presidente istituendo per sé la carica di consigliere di Stato e restando quindi leader de facto. La Birmania aveva quindi per il momento dato una svolta democratica alla propria storia.

I motivi dell’apertura

Sull’apertura democratica della Birmania occorre però fare chiarezza. Come abbiamo visto la svolta democratica è iniziata con l’approvazione della nuova Costituzione, ma i militari avevano tutti gli interessi per volere un governo civile.

Dopo 50 anni di mal governo militare la Birmania era sull’orlo del collasso: il Paese era isolato a livello internazionale. Era senza internet e senza una libera informazione, buona parte della popolazione viveva sotto la soglia di povertà, l’inflazione aveva superato il 57%. A tutto questo vanno aggiunte le sanzioni imposte dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti. Aprire a un cambiamento era diventato essenziale per evitare il disastro.

Il generale Thein Sein

Nel 2010, il presidente Than Shwe aveva annunciato le sue dimissioni e nuove elezioni vinte dall’Usdp e dal suo candidato Thein Sein. Thein però si è fatto portavoce di un notevole cambiamento coincidente con profonde riforme liberali e con la liberazione di Aung Suu Kyi.

Questo aveva permesso così a un militare di mettere un sigillo su una svolta liberale della Birmania, tanto che nel 2012 l’allora presidente Barack Obama visitò il Paese, un chiaro segno di approvazione internazionale. La Birmania nel 2013 era un Paese totalmente trasformato, le riforme liberali avevano portato investimenti esteri, un grande sviluppo nelle telecomunicazioni e nella liberalizzazione delle reti d’informazione, tanto che la crescita aveva toccato l’8,6% annuo.

In tutto questo bisogna ricordare come Aung Suu Kyi è entrata in Parlamento solo nel 2012 e ha vinto le elezioni nel 2015, la svolta del cambiamento del Paese è stata militare e il generale Thein Sein ha acquistato un certo grado di credibilità internazionale.

Aung San Suu Kyi e la questione Rohingya

Aung Suu Kyi si era presentata come avversario del regime militare, ma il suo approccio cambiò una volta raggiunta la guida della Birmania. Nel 2016 infatti ci fu una sorta di pacificazione tra la componente civile e la componente militare. Eclatante da questo punto di vista è anche la posizione presa nei confronti dei Rohingya.

Questi sono la minoranza musulmana della popolazione, circa il 4% del totale, continuamente oppressa e vittima di vero e proprio genocidio nel 2017, tanto che oggi molti sono costretti a vivere in campi profughi nel Bangladesh.

Quando si trattò di scegliere quindi se sostenere i militari o denunciarli alla comunità internazionale Aung San suu Kyi ha scelto la prima strada, tutto per non perdere consenso per le elezioni del 2020.

Nel 2019 l’ex avversaria dei militari testimoniò davanti al tribunale dell’Aia in loro favore, una scelta che peggiorò la sua opinione a livello internazionale, ma che preservò la sua immagine interna garantendosi il sostegno della popolazione Buddhista della Birmania.

Il razzismo di Stato

La questione dei Rohingya merita un approfondimento. In Birmania esistono numerosi gruppi etnici: durante l’epoca del governo militare si è imposta l’ideologia taingyintha, secondo cui solamente alcune etnie potevano considerarsi prettamente birmane.

L’espressione più concreta è la legge del 1982. Questa creò tre livelli di cittadinanza, dotando di cittadinanza completa solo un certo numero di etnie.

Nel 1991 il governo emise quindi una lista delle etnie nazionali che godevano di cittadinanza. I Rohingya furono arbitrariamente esclusi, altri gruppi vennero scissi come Chin e Kachin, mentre altri accorpati anche se privi di qualsiasi tipo di legami come i sottogruppi Shan.

Tutto questo in favore dell’etnia dominante, quella dei Bamar che rappresenta circa il 64% della popolazione totale.

L’ideologia del Taingyintha non ha lo scopo di unire un Paese e tutte i popoli che ne fanno parte, garantisce e decide solamente quale popolo può rivendicare qualcosa nei confronti degli altri. I Rohingya, per i militari e per la maggior parte dei Birmani, sono bengalesi e non hanno diritto di rappresentanza in Parlamento o nell’esercito. Non sono un’etnia da integrare, ma invasori da scacciare dal Paese.

Il Colpo di Stato del 2021

Il partito di Aung San Suu Kyi, nonostante la vicenda Rohingya nelle elezioni svolte l’8 novembre 2020, aveva replicato il grande successo del 2015. Quella che doveva essere il rilancio del regime militare grazie alle riforme liberali non è avvenuto; il popolo birmano per due mandati consecutivi ha scelto il partito NLD.

Per questo dopo la sconfitta elettorale il capo dell’esercito birmano ha minacciato un intervento militare per salvaguardare lo Stato: la Costituzione del 2009, infatti, permette all’esercito di intervenire in questo senso.

Aung San Suu Kyi e i vertici di partito dell’NLD sono stati arrestati il 1° febbraio 2021 e il generale Min Aung Hlaing ha preso i pieni poteri. Il generale ha dichiarato che la giunta militare avrebbe garantito “un autentico sistema democratico multipartitico, basato sulla disciplina”.

È evidente che la democratizzazione non è e non sarà mai volontà dei militari, che non sono mai scomparsi dalla scena. Un altro punto è centrale: i Parlamentari dell’NLD eletti sono stati tenuti prigionieri un paio di giorni prima di essere liberati. Però di Aung Suu Kyi non si conosce il luogo di reclusione e gli stessi militari non hanno dato nessuna informazione.

Nel Paese è iniziata una grande protesta di disobbedienza civile: molti medici di 70 ospedali hanno scioperato contro il colpo di Stato militare, mentre la popolazione civile è scesa nelle strade di Yangon.

Uno Stato parallelo

È chiaro che l’esercito rappresenta una parte fondamentale del Paese. L’esercito oltre a essere ben equipaggiato rappresenta una vera e propria potenza economica.

Questo vale da solo circa il 14% dell’intero bilancio nazionale, anche se i fondi di cui gode sono nettamente superiori a quelli ufficiali. I militari sono infatti notoriamente implicati nel traffico di droga e nell’estrazione della giada e dispongono degli introiti generati da un insieme di attività economiche nelle mani della Myanmar Economic Holding Public Company Limited. La MEHL ha esteso la sua influenza in quasi tutti i settori economici del Paese dal tessile alla produzione di tabacco.

L’esercito è saldamente presente nel tessuto economico del Paese e la pacificazione di An Suu Kyi del 2016 con i militari era simbolica. La leader democratica non ha avuto il tempo di rafforzare la sua posizione e di indebolire i militari. Il colpo di Stato non deve quindi meravigliare ed è ancora da capire come Cina e gli USA del neopresidente Joe Biden agiranno.

 

Fonti:

Treccani.it

Ilmanifesto.it

Policymakermag.it

Terresottovento.altervista.org

Ilpost.it

Lemonde.fr

Asia.nikkei.com


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