Braccianti: le loro braccia sono di tutti noi

Dovevamo uscirne migliori dalla pandemia; questa è la favola che ci raccontiamo e ci siamo raccontati per un anno e mezzo. Sarà il tempo a decidere quanto questa affermazione sia vera o falsa. Viviamo in un Paese che necessita di profonde riforme, un Paese che deve essere ristrutturato. La ristrutturazione a cui andiamo incontro, però, non deve essere solo infrastrutturale o economica. Riguarda anche quella dei diritti degli ultimi, degli sfruttati, di tutte quelle persone di cui tutti ci dimentichiamo, quasi come se non esistessero e non facessero parte delle nostre vite.

L’ultima aggressione

In effetti notiamo la loro esistenza solamente quando sono vittime di aggressioni violente. Nelle campagne del foggiano, un’auto in cui viaggiavano tre braccianti è stata affiancata da un SUV e poi presa a fucilate, uno dei tre braccianti è stato poi sottoposto a un’operazione chirurgica al volto. Nicola Fratoianni ha dichiarato «Un’aggressione terrificante e crudele. Un attacco contro i diritti e la dignità di lavoratori e lavoratrici, un attacco diretto alle basi della nostra democrazia» a cui è seguito il tweet di Provenzano, ex ministro per il sud «Un clima di odio e violenza che lo Stato non può tollerare. Occorre fare piena luce presto. Abbiamo gli strumenti per combattere caporalato e criminalità. Usiamoli». Ma la politica e lo Stato non hanno le loro colpe?

Il ghetto di Rignano

I braccianti aggrediti vivono nel ghetto di Rignano. Una città invisibile, come tutti quelli che ci abitano, e che raccoglie i braccianti che lavorano stagionalmente nei campi circostanti. Una città che lo Stato fa finta di non vedere, ma che caporali e mafia sfruttano continuamente; del resto, gli interessi della criminalità organizzata verso il ghetto non possono venire meno. L’ex governatore della Puglia Nichi Vendola, nell’ormai lontano 2014, in una delibera regionale ha tracciato un piano d’azione: chiudere il ghetto e ridistribuire i migranti sul territorio proteggendoli dall’infiltrazione mafiosa. Il piano prevedeva anche contributi economici alle aziende che avessero scelto i lavoratori da liste create dalla regione: questo avrebbe dovuto tagliare fuori e indebolire i caporali. Le imprese agricole, tuttavia, hanno preferito decisamente servirsi ancora del lavoro nero. Nel maggio del 2016 alla guida della regione Puglia si è insediato Michele Emiliano, che dopo l’ennesimo rogo nella baraccopoli di Rignano, ha presentato denuncia per riduzione in schiavitù. La regione elaborò un piano d’azione per un totale di 5 milioni di euro che prevedeva lo sgombero della baraccopoli e la ridistribuzione dei braccianti. Eppure, il Ministero dell’Interno non finanziò il piano e il ghetto esiste ancora. L’unica differenza? Al posto delle tende troviamo decine di roulotte.

Il ghetto di Rosarno

Troviamo una situazione simile anche in Calabria, a Rosarno. Vi ricordate della rivolta di dieci anni fa dei braccianti di Rosarno? Scesero in piazza per manifestare il proprio disagio e la propria condizione. Da allora la situazione è sempre la medesima. Le istituzioni politiche locali e nazionali anche qui non sono capaci di mettere in pratica una qualsiasi strategia sul lungo periodo. Dal 2014 opera una clinica mobile della MEDU (medici per i diritti umani) e i problemi che si presentano sono sempre gli stessi: problemi gastrointestinali e problemi articolari. Da un’indagine effettuata dalla MEDU, che si occupa anche di fornire assistenza socio-legale, solo il 5% dei braccianti visitati non ricorreva a caporali per lavorare. Inoltre, solo un terzo dei lavoratori riceveva busta paga e, nonostante l’aumento salariale proposto dai sindacati, le irregolarità sono molteplici. Nessuno dei braccianti invisibili è pagato quanto dovrebbe. All’interno di un Paese che siede nel G7 e nel G20 è in atto ormai da un decennio una piena crisi umanitaria che non trova soluzione.

Una questione che riguarda tutti noi

Il tema riguarda tutti noi dal vivo: il cibo a basso costo. I pomodori che vengono raccolti dai braccianti finiscono nelle passate che noi compriamo a prezzi irrisori ogni volta che facciamo spesa in un supermercato. Moltissime imprese che operano nella GDO (grande distribuzione organizzata) operano un’azione di riduzione dei prezzi che inevitabilmente si ripercuote su tutti i componenti della filiera, compreso il lavoro dei braccianti. Gli operatori agricoli, per avere un guadagno, sono obbligati a tagliare i costi di produzione e quindi anche quelli del lavoro. Noi consumatori dobbiamo inevitabilmente renderci conto che dobbiamo servirci di prodotti che vengono da una filiera sana e non che produce sfruttamento. Ogni persona deve riuscire a vivere dignitosamente del proprio lavoro, compresi tutti quei braccianti invisibili e dimenticati.

Fonti:

ilfattoquotidiano.it

repubblica.it

ilmanifesto.it

internazionale.it


Credits:

Copertina

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *