La pandemia e l’aumento dei suicidi in carcere

La pandemia che stiamo vivendo ci ha fatto sentire imprigionati, reclusi, privati della nostra possibilità di agire. Ci ha fatto e ci sta ancora facendo provare, seppur in maniera più leggera, magari dandocene solamente un accenno, cosa vuol dire essere carcerati. Ma non lo siamo. I veri carcerati si trovano nelle celle di prigioni grigie e insipide. Le stesse prigioni che da anni sono sovraffollate, stipate di persone che, oltre a scontare la pena loro inflitta secondo la legge, devono subire pure quella di essere soggette a un sistema inefficiente.

Il sovraffollamento delle carceri, in una situazione di emergenza sanitaria come questa, in cui è fondamentale il distanziamento sociale, ha creato non pochi disagi. Problemi ai quali si sono aggiunti gli effetti psicologici che la pandemia ha causato e che si sono rovinosamente ripercossi sui carcerati, facendo registrare un aumento significativo dei suicidi. Si analizza ora la situazione in Italia e l’influenza della pandemia sul sistema penitenziario.

La situazione del sovraffollamento

Secondo i dati dell’associazione Antigone, che si occupa della tutela dei diritti dei detenuti, in Italia il tasso di affollamento delle carceri è pari a 106,2%. Sono 4000 le persone in più rispetto alla percentuale del 98%, considerata la soglia minima di sicurezza in grado di garantire la disponibilità di un certo numero di posti, nell’eventualità di varie ondate di arresti. A rendere ancora più drammatica la situazione è il fatto che questi dati hanno risentito degli effetti della pandemia e hanno subito una leggera diminuzione rispetto agli anni precedenti. Il 29 febbraio 2020, prima ancora che il virus circolasse in maniera sistemica, i carcerati in Italia erano 61.230. A un anno di distanza, al 28 febbraio 2021, il numero nazionale dei carcerati si aggira intorno a 53.697, il dato più basso registrato dal 2015. Uno scarto di circa 7500 persone. Ma come si è notato dai dati attuali, la soglia di sicurezza è ancora lontana.

La classifica

Nello specifico, le venti strutture più affollate in Italia sono:

  1. Taranto 196,4% (603 detenuti per 307 posti)
  2. Brescia 191,9% (357 detenuti per 186 posti)
  3. Lodi 184,4% (83 detenuti per 45 posti)
  4. Lucca 182,3% (113 detenuti per 62 posti)
  5. Grosseto 180% (26 detenuti per 15 posti)
  6. Udine 174,4 (157 detenuti per 90 posti)
  7. Bergamo 164,1% (517 detenuti per 315 posti)
  8. Latina 158,4% (122 detenuti per 77 posti)
  9. Busto Arsizio 156,6% (376 detenuti per 240 posti)
  10. Genova Pontedecimo 155,2% (149 detenuti per 96 posti)
  11. Altamura 154,7% (82 detenuti per 53 posti)
  12. Monza 153,1% (617 detenuti per 403 posti)
  13. Pordenone 150% (57 detenuti 38 posti)
  14. Gela 150% (72 detenuti per 48 posti)
  15. Bologna 149,2 (746 detenuti per 500 posti)
  16. Como 149,1% (358 detenuti per 240 posti)
  17. Roma Regina Coeli 147,3% (893 detenuti per 606 posti)
  18. Catania “Bicocca” 146,7% (201 detenuti per 137 posti)
  19. Bari 146,5% (422 detenuti per 288 posti)
  20. Asti 146,3% (300 detenuti per 205 posti)

Questa situazione, oltre che incidere sul lato psicologico, in seguito trattato nell’articolo, è andata a creare problemi di mancanza di spazi da destinare alle attività sanitarie, fondamentali ora più che mai. Altri effetti del sovraffollamento sono l’aumento del degrado strutturale degli edifici e un forte calo del livello di igiene, che si va a ripercuotere su un sistema sanitario già debole.

Aumentano i suicidi in carcere

Sempre l’associazione Antigone ha messo in luce i dati dei suicidi nelle carceri italiane. Sono state sessantuno le persone che nel 2020 si sono tolte la vita in carcere. Circa 11 ogni 10.000 persone. Dati esorbitanti, che non raggiungevano livelli così elevati da vent’anni.

L’età media dei carcerati che si sono tolti la vita è di solamente 39,6 anni. Questo picco di suicidi è stato l’effetto diretto delle difficoltà portate dalla pandemia, come già accennato sopra.

Il sovraffollamento, la paura causata dal virus e tutti i disagi già presenti nel sistema carcerario italiano hanno dato vita a una disperazione generale, che non ha mancato di sfociare in attriti interni. Proteste e, talvolta, vere e proprie rivolte hanno avuto luogo, negli ultimi mesi, in numerose carceri italiane, causando anche alcune vittime.

Con l’emergenza sanitaria, tutti i collegamenti con l’esterno di cui i prigionieri potevano godere sono stati cancellati. A delineare un preciso quadro generale sul disagio nelle carceri da inizio pandemia, è stato Giuseppe Fanfani, garante regionale toscano delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, che ha dichiarato:

“Hanno subito delle forti limitazioni le visite dall’esterno, la presenza del volontariato, i trasferimenti, le iniziative come i corsi di istruzione. Questo ha aumentato a dismisura la sofferenza in carcere, dove in 14 metri quadri devono convivere due o tre persone”.

Privati di tutti quei servizi, di quegli appigli da afferrare per rimettersi in piedi, che fanno in modo che un carcerato possa scontare la propria pena in modo costruttivo, i detenuti si sono ritrovati a marcire insieme alle proprie colpe in celle sovraffollate; con un altro muro a dividerli da una loro sana riabilitazione sociale: il muro costruito dal virus.

Fonti:

Ilriformista.it

Agi.it

Lanazione.it


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