Siamo davvero tutti uguali davanti alla legge?

Essere uguali davanti alla legge è uno dei temi più dibattuti nel corso della storia, e ancora oggi persiste. Un dibattito che ha fatto versare sangue, imprimere pagine di inchiostro, dipingere tele, nascere rivoluzioni.

La legge, istituzione che regola la libertà degli individui all’interno del contesto sociale o contratto sociale, come dir si voglia, in linea teorica dovrebbe operare partendo da un presupposto preciso: quello dell’uguaglianza. La Costituzione italiana esprime questo grande tema nell’articolo tre, ponendolo fra i principi fondamentali.

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Ma siamo effettivamente tutti uguali davanti alla legge? E cosa significa veramente essere uguali davanti alla legge?

Uguaglianza o equità?

Davanti alla legge siamo tutti uguali sì, ma non è una cosa del tutto positiva, se interpretata in un certo modo. Cerchiamo di fare chiarezza.

L’uguaglianza dovrebbe essere il presupposto da cui la legge applica l’equità: perché, davanti alla legge, entra in gioco la contingenza sociale, una serie di pesi e contrappesi che vanno a variare lo stato di colui che si trova a rispondere delle proprie azioni.

Facciamo un esempio

Ci sono due individui, X e Y, uguali per stato di natura, che devono essere processati per furto. X è un disoccupato che durante la sua vita non ha fatto altro che strisciare tra pigrizia, egoismo e opportunismo, uno di quegli individui che ha cominciato a rubare poiché gli è parsa la strada più semplice e meno impegnativa. Y, invece, dopo aver perso il lavoro si è ritrovato a vivere in uno stato di indigenza economica e con due figli da mantenere. Disperato, Y, per poter pagare l’istruzione ai propri figli e poterli nutrire, è portato a commettere un furto.

Mettiamo che entrambi abbiano rapinato due negozi identici e rubato la stessa quantità di soldi. Se il giudice processasse secondo uguaglianza, non vi sarebbe alcuna differenza se l’imputato fosse X o Y, poiché fattualmente identici, cosa effettivamente vera. Ma qualcosa non torna, poiché vi è una notevole differenza tra chi agisce intenzionalmente in modo negativo e chi lo fa per intenzione delle circostanze, le quali non lasciano altra alternativa. Quindi la vera uguaglianza davanti alla legge è l’equità, o meglio, l’equità è lo strumento fondamentale per garantire la più autentica uguaglianza, quella che dovrebbe essere le fondamenta della legge.

Bene ora abbiamo chiarito cosa significa essere uguali davanti alla legge, spostiamo l’obiettivo su chi dovrebbe applicarla.

Chi giudica in nome della legge, vede questa uguaglianza?

Lo scrittore polacco, Stanisław Jerzy Lec, dopo aver vissuto le atrocità dei campi di concentramento e aver provato sulla propria pelle la sofferenza dell’ingiustizia, disse:

Siamo tutti uguali davanti alla legge, ma non davanti agli incaricati di applicarla.

Ebbene sì la figura di colui che rappresenta la legge è molto delicata e sicuramente non compatibile con la superficialità. La mancata imparzialità ed equità può essere causata da molti fattori e, purtroppo, un’assolutezza effettiva di essi è impossibile. Questo non significa che non si possa migliorare la situazione.

Cosa è possibile migliorare, quindi?

Aumentare i controlli che garantiscono il regolare svolgimento di un processo, dovrebbe essere la priorità. Fondamentale è, anche, la formazione delle figure competenti: che dovrebbe consistere in un aggiornamento continuo e tempestivo, data la natura del compito. Molto importante oltretutto, in queste circostanze, è la capacità di visione e contestualizzazione che, per figure operanti nell’ambito giuridico, dovrebbero essere sviluppate inserendo discipline affini, che a primo impatto potrebbero sembrare totalmente fuori luogo.

Discipline che, se inserite con una dovuta attenzione, possono mettere a disposizione strumenti culturali, i quali permetterebbero di avere un quadro complessivo molto più chiaro e contestualizzato. Così da garantire un giusto svolgimento dell’attività giuridica e permettere all’equità e all’imparzialità, nate da una conoscenza della contingenza che viene ad essere giudicata, di essere i motori principali dello svolgimento delle mansioni giudiziarie.

Fonti:

ilfattoquotidiano.it


Credits:

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