Sieropositività femminile

Nel mondo circa 38 milioni di persone convivono con l’HIV. Un milione sono bambini. L’epidemia è tutt’ora una delle maggiori problematiche a livello di sanità mondiale ed il numero delle vittime ammonta a 33 milioni dal suo inizio, nel 1981.

Bambini sieropositivi

La comparsa sui registri medici di neonati affetti da HIV risale, per la prima volta, al 1983. L’impatto del virus era completamente differente. La malattia era spesso fulminante ed il tasso di mortalità estremamente elevato. I sintomi si sviluppavano rapidamente, nella prima infanzia, e la maggior parte dei bambini colpiti aveva almeno un genitore sieropositivo. La trasmissione madre-figlio, durante la gravidanza o il parto, nota come verticale, era infatti, la più comune.

Il tasso di trasmissione verticale, nel corso degli anni, si è ridotto sensibilmente, passando dal 10% alla fine degli anni Novanta al recente 2%. La quasi totalità delle donne in stato di gravidanza o in fase di allattamento sieropositive, ha accesso alla terapia antiretrovirale, nota anche come ART. La terapia non si propone di curare il virus, bensì di permettere a coloro che ne sono affetti un’aspettativa di vita piuttosto sana e longeva. Riducendo inoltre la possibilità di trasmissione, l’ART, tutela maggiormente il nascituro.

Lo stigma

Nonostante i numerosi progressi fatti nella diagnosi e nel trattamento dell’HIV, riducendola nei paesi europei da una malattia ad altissimo tasso di mortalità ad un’endemia, piuttosto che una pandemia, rimane ancora fortemente stigmatizzata e così coloro che ne sono affetti. Negli Stati Uniti ed in Europa, infatti, inizialmente non venne neppure percepita come una minaccia per la salute pubblica poiché associata a gruppi socialmente marginali come la comunità omosessuale, i tossicodipendenti, immigrati o prostitute.

Erving Goffman

Lo stigma, secondo Goffman, come afferma nella sua celeberrima opera Stigma del 1963, è la squalifica dalla piena accettazione sociale. Essa può essere compromessa da numerosi fattori ed è lecito porre l’accento su come esista tutt’ora nel contesto medico. Malattie infettive come l’AIDS, l’epatite, malattie croniche e deformità fisiche, concorrono all’insorgere del fenomeno della svalutazione da parte di una comunità nei confronti di un individuo.

La stigmatizzazione delle persone sieropositive ha avuto severe conseguenze: l’impatto non si è limitato all’esclusione dalla vita sociale, tradottosi spesso nell’impossibilità di trovare un impiego stabile, ma ha inficiato in maniera decisiva la percezione del soggetto stesso nei confronti della malattia. Lo stigma è stato riconosciuto come la causa chiave della riluttanza, da parte di PLHA (People living with HIV/AIDS), nel sottoporsi a test e terapie ma soprattutto nella dichiarazione dello stato di sieropositività. Quando questo accade si parla di internalised stigma o stigma internalizzato.

Sieropositività femminile

Questo fenomeno è sicuramente acuito nei casi in cui, ad essere sieropositiva, è una donna. La maggior parte ha contratto il virus attraverso rapporti sessuali non protetti o l’utilizzo di siringhe non sterili durante l’uso di sostanze stupefacenti. In una società nella quale il ruolo femminile è fortemente oggetto e soggetto di dure discriminazioni, l’aggravante della malattia gioca un ruolo cruciale nelle dinamiche di emarginazione non solo esterne ma anche all’interno di uno stesso nucleo familiare.

In numerosi stati esteri, soprattutto nell’Africa Subsahariana, nonostante l’alto tasso di contagi, è complesso accedere a programmi di prevenzione, cura e trattamento anche a causa dello stigma legato all’HIV. Culturalmente percepito come una “punizione” ad una condotta immorale e promiscua. Al contrario, vi è un’accettazione più diffusa della condizione di sieropositività maschile, anche nelle istanze in cui il virus sia stato contratto come conseguenza di rapporti extraconiugali e la trasmissione alla donna sia avvenuta in un secondo momento. La prevenzione è estremamente complessa e lo stigma talmente radicalizzato da portare a pensare che l’utilizzo di mezzi di protezione come i preservativi  possano associare l’individuo alla malattia.

L’aspetto psicologico

Le conseguenze, dal punto di vista psicologico, sono ancor più devastanti. Il sentimento di rifiuto, emarginazione, ostracismo ed isolamento, portano spesso a gravissimi casi di depressione ed intenti suicidi. Un rapporto del Centro Internazionale per la Ricerca sulle Donne, o ICWR, stata che in Bangladesh più della metà delle donne sieropositive è vittima di abusi da parte della famiglia e della comunità. Una su cinque tenta il suicidio.

“Tutte le volte che l’AIDS è stata sconfitta, è stato grazie alla fiducia, all’apertura, dialogo tra gli individui e la comunità, il supporto della famiglia ed umano e alla perseveranza umana, capace di trovare nuove strade e soluzioni”

         Michael Sidibé, Executive Director of the Joint United Nations Programme on HIV/AIDS

Fonti:

ircw.org

unaids.org

huffpost.com


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